“Se non potete parlare bene di una persona, non parlatene” diceva Giulio Andreotti, forse, a dispetto di questo aforisma, il più chiacchierato uomo politico della storia d’Italia. Silvio Berlusconi, che iniziò la propria scalata nelle istituzioni proprio nel momento in cui la scena politica disegnata, anche e soprattutto, dal Divo Giulio si squagliava sotto “Mani Pulite”, non è stato da meno.
È riuscito a dividere, come pochi altri, l’Italia in due, amato quanto odiato. Spartiacque laico degli ultimi trent’anni di storia ci sarà per sempre un prima e un dopo Berlusconi. Nato per dare voce ai milioni di italiani che nessuno aveva mai ascoltato e portare in Italia quelle riforme che i vecchi partiti avevano sempre imbrigliato nella gelatina del consociativismo, della concertazione, della spesa pubblica a fini elettorali e del servilismo frutto di un guerra iniziata male e finita peggio, il movimento del Cavaliere, tradito lo spirito iniziale, si pone ormai alla stregua dei vecchi partitini che nei governi di coalizione alzavano o abbassavano l’asticella in cambio di qualche vantaggio spicciolo pro domo loro.
Lontana la vocazione maggioritaria, la rivoluzione liberale, la salvaguardia di una base elettorale che lo ha sostenuto fino alla fine. Berlusconi, lontano dalla figura di anziano pater alla fine della propria stagione politica, riesce a posizionarsi ancora in modo strategico per scandire la sua metamorfosi. Pronto alla bisogna per salvare il Governo sul MES e pontiere, con la guida del fido Gianni Letta, è di nuovo decisivo anche in vista della scadenza più importante: la salita del presidente prossimo venturo al Quirinale. Berlusconi è stato tutto e il contrario di tutto, ha votato leggi così come la loro negazione, perché l’unica stella polare del suo operato è sempre stato il proprio interesse.
Uno dei suoi pretoriani ebbe a dire che “Berlusconi non era Pinocchio, ma Collodi; non un semplice bugiardo ma quello che i bugiardi li aveva inventati”. Con le sue bugie ha fatto sognare intere generazioni. La gente amava Berlusconi perché rappresentava meglio di chiunque altro l’Italia un po’ faccendiera, ironica, pallonara e vacanziera che in fondo è in ognuno di noi. Avrebbe avuto il Paese in mano se solo la sua eccezionalità non si fosse risolta in egoismo e fosse stata capace di proiettarsi nel futuro per fare grande, insieme a sé, l’Italia.
Con tre televisioni e due giornali non ha mai tentato di alzare il livello del Paese, diffondendo quella cultura liberale di cui voleva farsi portavoce e puntando ad un ricambio valoriale che, insieme a quello generazionale, gli avrebbe potuto permettere, forte di un consenso mai visto, di guidare il Paese per competere con le prime potenze del mondo. Si è accontentato del “Drive In” e del “Grande Fratello” mentre le menti pensanti venivano messe in soffitta, ree di oscurare il Sultano e la sua ristretta corte dei miracoli. Il Berlusconi di oggi è un uomo ormai organico al sistema che ha sempre detto di combattere, quello delle banche e dell’alta finanza guidato da Francia e Germania, dell’Europa e di tutti quelli che nel 2011, con una congiura che meriterebbe un processo tipo Norimberga, misero fine all’ultimo governo eletto dai cittadini.
Il voto sul MES, scialuppa di salvataggio per un governo che fa acqua da tutte le parti, sarà l’ultimo atto in commedia. Nel frattempo prepariamoci a celebrare le esequie di un centrodestra clinicamente morto da tempo.