Sembra sia in atto, nella maggioranza, un ravvedimento operoso per reintrodurre l’imposta sui money transfer, appena abolita con un articolo della legge di bilancio 2021 (il 185). L’imposta prevedeva il pagamento di un’aliquota dell’1,5% per i trasferimenti di denaro sopra i dieci euro verso i Paesi extra Ue attraverso le cosiddette agenzie di trasferimento, senza passare dai conti correnti intestati. Una norma che, secondo il governo attuale, è in contrasto col trattato sul funzionamento dell’Unione che vieta qualsiasi restrizione sui movimenti di capitali. Ma il problema dei money transfer come terminali di illegalità esiste e non può essere nascosto dietro l’usbergo delle complicazioni burocratiche, e quindi la decisione del governo di gettare la spugna, abolendo una norma che incentiva gli immigrati a utilizzare canali più trasparenti per le operazioni finanziarie, rappresenta l’ennesimo segnale sbagliato. Ogni anno, infatti attraverso i money transfer escono dall’Italia capitali per decine di miliardi di euro, un fenomeno in continua espansione spesso fondato sul pericoloso binomio evasione fiscale-riciclaggio. Le agenzie di trasferimenti, che erano meno di 700 venti anni fa, si sono moltiplicate in modo esponenziale, più di un money transfer su due è risultato fuorilegge per esercizio abusivo dell’attività finanziaria e violazione della normativa antiriciclaggio. Il motivo è semplice: i money transfer possono essere aperti in qualsiasi esercizio commerciale e consentono di inviare soldi all’estero con costi di commissione irrisori. Ciò che rende il meccanismo particolarmente appetibile e soggetto a conseguenti illegalità è il non essere tenuti alla titolarità di un conto bancario, non dover possedere un documento di cittadinanza né tanto meno una tessera associativa; l’unico onere che gli utenti del servizio hanno è quello di esibire un documento di identità, facilmente falsificabile. Ogni mese escono dall’Italia, attraverso questi canali, capitali per oltre 5 miliardi di euro, e le inchieste della magistratura hanno accertato che le rimesse all’estero troppo spesso diventano un canale agevole per il denaro che proviene dall’illecito, dalla corruzione e dall’evasione fiscale. La più significativa resta quella della Procura di Firenze che accertò un flusso enorme di denaro, partito in larga parte da Prato e trasferito in Cina attraverso i money transfer, un riciclaggio di 4,5 miliardi di euro frutto di un sistema economico illegale radicato in mezza Italia. che utilizzava un numero enorme di transazioni di basso valore, la maggior parte di appena 1.999 euro l’una, che permettevano di evitare i controlli automatici.
Mentre il governo porta a compimento il percorso verso una regolamentazione sempre più rigida sull’utilizzo della moneta elettronica, e mentre per favorire la tracciabilità dei pagamenti si penalizzano gli italiani che usano il contante, ripristinare l’imposta sulle rimesse di dubbia provenienza dei money transfer, dunque, sarebbe davvero il minimo della decenza politica.