In questa legislatura ne abbiamo viste di tutti i colori, nel senso letterale del termine, passando dal governo gialloverde a quello rossogiallo, entrambi guidati dallo stesso premier. Col paradosso che su questa deriva politica ci si è incamminati al termine di una campagna elettorale consumata all’insegna del tutti contro tutti ma con un unico mantra unificante: mai più “responsabili” che rinnegano il voto popolare. Il Senato si era messo avanti con un nuovo regolamento che poneva paletti molto rigidi ai cambi di casacca, ma la martellante narrazione contro i famigerati voltagabbana si è sempre scontrata con il dettato dell’articolo 67 della Costituzione, che garantisce a deputati e senatori la piena autonomia, al riparo dagli ordini di partito. Per cui nel contratto del cosiddetto governo del cambiamento fu scolpito sulla pietra il principio opposto, ossia che occorreva “introdurre forme di vincolo di mandato per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo”.
Dunque, la legislatura nata come una sorta di antidoto al trasformismo sarà invece ricordata come quella del trasformismo assurto a sistema: prima il centrodestra, maggioranza relativa in Parlamento, provò a ipotizzare un governo di minoranza a caccia di responsabili in Parlamento, ipotesi peraltro che Salvini non esclude nemmeno ora. Poi il notaio del Quirinale ha dovuto certificare ben due clamorosi fatti politici, con la nascita dei governi Cinque Stelle-Lega e Cinque Stelle-Pd, due alleanze spurie fra ex avversari con programmi del tutto incompatibili che hanno perciò tradito di fatto il mandato elettorale. Grillo e Di Maio in questo sono i primi della classe, perché lo hanno tradito due volte, e ora che Conte traballa di nuovo, il loro quotidiano di riferimento, da sempre ferocissimo nel denunciare il mercato parlamentare delle vacche, li incita addirittura a tradirlo di nuovo imbarcando potenziali (e ad ora inesistenti) transfughi da Forza Italia.
Ipocrisie e tabù ideologici sono quindi caduti uno ad uno, e ora che Renzi è tornato a rivestire i panni del rottamatore, si moltiplicano le incognite sul futuro di Conte e insieme le congetture sulle possibili soluzioni in caso di crisi. A sinistra temono come la peste bubbonica la nascita di un governo di centrodestra, soprattutto se a favorirla fosse proprio il leader di Italia Viva. Siamo nella fantapolitica, ma il Corriere della sera ha ritenuto comunque di lanciare un altolà con un commento di questo tenore: una simile operazione violerebbe il fondamento della rappresentanza politica, i parlamentari di Italia viva essendo stati eletti nelle liste del Pd e con i voti dei suoi elettori. Con l’indignato sermoncino finale: “Saremmo in presenza di un trasformismo così profondo e riprovevole quale mai si è conosciuto in un sistema come il nostro che di trasformismi ne ha visti molti, ma sempre a livello di singoli e poco commendevoli parlamentari, ma mai di interi partiti politici”.
Ma come? Con quanto è successo in questa legislatura, segnata da ribaltoni e controribaltoni che hanno coinvolto le prime tre forze politiche del Parlamento, di riprovevole ci sarebbe solo l’eventuale appoggio di Italia Viva a un governo di centrodestra, ipotesi peraltro dell’irrealta’? Ecco il vero nervo scoperto – strabico quanto ipocrita – della pubblicistica prevalente: tutto è lecito e commendevole, anche l’alleanza col demonio, se serve a traghettare la sinistra sconfitta al governo, mentre tutto diventa sterco del demonio se un’operazione parlamentare rimette le Camere in sintonia con la maggioranza del Paese.

A proposito di stampa e regime.