Firenze, Anno Domini 2021.
Afflitto dalla calura estiva, in un torrido pomeriggio di metà giugno, ho avuto la malsana idea di fermarmi a riprendere fiato e dissetarmi in un famosissimo bar del centro. Ordino una Coca Cola da 33 cl: costo 7 euro. Non mi scandalizzo, né polemizzo, in fondo siamo nel bel mezzo di una delle città più belle del mondo. Pago ed evito di tornarci una seconda volta. Non sono qui a invocare imposizione sovietiche o calmieraggio di stato: i prezzi delle merci sono regolati dal mercato e dal meccanismo della domanda e offerta. Il che tradotto vuol dire che se vendo una bibita a 7 euro c’è qualcuno disposto a pagare per averla, altrimenti il prezzo scenderebbe.
Il mio ragionamento, però, non vuole occuparsi di teorie economiche sulle quali non ho alcuna competenza ma mira a ricavare alcuni punti fermi che riguardano più la politica e la sociologia. Fino a quando la cecità del commercio riuscirà a imporre le proprie logiche prescindendo completamente da ciò che è etico oltre che redditizio? Davvero si pensa che riuscire a racimolare qualche spicciolo in più oggi sia una tattica che paga nel lungo periodo? Oppure c’è il rischio che questa corsa al profitto rischi di desertificare ancora di più un tessuto economico sicuramente penalizzato ma che vuole ripartire “prendendo l’uovo dal sedere della gallina”, se mi è consentito parafrasare un adagio colorito, ma efficace, di noi toscani?
Ovviamente a fare da contraltare a questo atteggiamento c’è uno Stato predatore che, a fronte di servizi sempre più scadenti e corruzione diffusa come metastasi, soffoca nelle tasse chiunque in questo paese voglia fare impresa o aprire una attività. Non sto ipotizzando la nascita di un mondo felice dove tutti vanno d’amore e d’accordo e ogni cosa funziona a dovere: le società sono fatte di uomini e per questo naturalmente imperfette. Ma credo che la difficoltà della pandemia possa, anzi debba, offrire l’occasione per ripensare il nostro modello di società.
Mettere finalmente in pratica quello che tutti pensano ma che nessuno realizza perché vorrebbe dire la fine di clientele, centri di potere e prebende: ovvero che perché tutti paghino le tasse occorre che il fisco sia più equo altrimenti continueranno a crescere l’evasione e gli sprechi. Per questo occorrerebbe che accanto all’Agenzia delle Entrate ci fosse anche quella delle Uscite per monitorare come la pubblica amministrazione spende i soldi dei cittadini. Riportare un po’ di morale nel pubblico favorirebbe la ripresa del settore privato, attraverso meno risorse drenate dai guadagni di chi lavora e di conseguenza rilancio dei consumi e degli investimenti. A quel punto, forse, anche i prezzi potrebbero lasciare il livello di follia al quale sono arrivati grazie alla consapevolezza di vivere in un sistema di reciproco dispetto e diffusa iniquità.
La bottiglietta a 7 euro non è soltanto l’indicatore di un commercio miope che punta all’obiettivo col minimo sforzo, ma di tutto un sistema che di queste storture fa la naturale normalità, anziché la sporadica eccezione.