Appartengo a quella minoranza in via di estinzione chiamata “liberali” che la consuetudine italica (sempre avvezza a catalogare ogni cosa) ha via via declinato con mille sfaccettature aggiungendoci accanto ogni sorta di aggettivo.
I liberali sono sempre stati delle creature strane, minoritari nel paese ma molto di moda nelle coscienze. Trovatemi una lista dell’arco costituzionale che non abbia, a ogni tornata elettorale, orgogliosamente, candidato tra le proprie fila almeno un liberale. Insomma un tocco di classe, spesso un po’ naif, come una pochette turchese su un completo fumo di Londra.
I liberali, tuttavia, non hanno avuto molta fortuna quaggiù. Eccettuata l’epopea giolittiana, poi, è stata tutta una discesa verso il basso: da Luigi Facta all’Alleanza Liberal Popolare di Denis Verdini. Non è solo un fatto di uomini. Il Belpaese è culturalmente e per indole fortemente illiberale. Non a caso fu convintamente fascista.
L’Italia è fondata su un sistema di potere orizzontale non basato sul merito ma sull’amicizia, la raccomandazione, la spintarella, il volemose bene. La ramificazione diffusa di conventicole, ordini professionali, logge, circoli etc…lo rendono un sistema del tutto irriformabile dall’interno ma nemmeno troppo coraggioso per appoggiare una svolta autoritaria che rimetta le cose a posto dall’esterno. Tant’è che la Costituzione compromesso ha trasfuso nei 139 articoli parte del fascismo che voleva cancellare colorandolo di rosso da un lato e ammantandolo d’aura chiesastica dall’altro: il proverbiale e sempreverde cattocomunismo. E infatti la DC ha regnato sovrana per 50 anni con i suoi riti, i suoi ghirigori, il suo non compicciare niente ma mantenendo intatto lo status quo. Ecco perché il format della destra nostrana, urlata e arrembante, non ha strada. Magari vola nei sondaggi o fa infiammare i cuori nei comizi ma è destinata a essere perdente nelle urne. Così come alla lunga è perdente un partito liberale di massa le cui contraddizioni si sono già palesate vistosamente nel ventennio berlusconiano.
Se è vero che i pesci di fondo non amano le acque agitate l’Italia è destinata a vivacchiare nell’incertezza e la mediocrità, in mano a una classe dirigente raccogliticcia e impreparata. A proposito: è di questi giorni la proposta di legge di estendere anche ai Comuni più popolosi la possibilità del terzo mandato per i sindaci. E così un primo cittadino se si trova in un contesto giusto ed è ben supportato può durare qualche anno meno di Mussolini senza che valga il principio della brevità e rotazione delle cariche pubbliche, perno di ogni democrazia matura.
Tutto cambi, perché nulla cambi. Come al solito. Anche se i liberali hanno ancora il dovere civile di provare a cambiare le cose.