La questione ‘balneari’ lontano dall’essere marginale è l’emblema  delle mistificazioni della postdemocrazia finanziaria, delle insufficienze della politica, degli egoismi di un’Italia che non vuol capire e si rende indifendibile.

Circa un secolo fa, in tempo di recessione, le concessioni furono uno strumento  per consentire a famiglie più che povere di rimediare un tozzo di pane e salvarsi dall’inedia.

Si trattò dunque dello sfruttamento a fini sociali di beni demaniali.

Per lo più si omette di ricordare che i beni demaniali, cioè di proprietà della Pubblica Amministrazione, sono per definizione  ‘altro’rispetto ai beni privati sottoposti alle regole di mercato e sono destinati al raggiungimento del bene comune.

Per ciò stesso hanno una disciplina pubblicistica e dovrebbero essere sottratti alla concorrenza incondizionata e alle imposizioni esterne.

Chi giustifica  il  ricorso alle aste in concorrenza libera a causa dei bassi canoni, mischia le mele con le pere.

Il loro adeguamento avrebbe potuto essere fatto con semplice atto unilaterale dall’ amministrazione, senza bisogno d’altro.

Di converso si trascura che il sistema di microimpresa, le modalità consortili e cooperative che vigono spesso  nel settore, rispondono a tutti i requisiti costituzionali come guida della libertà economica. Ivi compresa la finalità sociale dell’iniziativa privata.

Le aziende diffuse che vivono di mare sono un potente collante di comunità e creano reti sociali radicate e funzionanti.

Queste elementari considerazioni lasciano al palo un supposto regime concorrenziale che è estraneo all’oggetto ( concessioni demaniali)e certo sottordinato ai valori costituzionali coerenti con il sistema che si intende colpevolmente distruggere (artt 35 -tutela del lavoro – 41-utilità sociale delle attività’ economica privata -45- tutela cooperative, artigianato, 47-difesa e promozione del risparmio).

Senza contare la violazione del principio di ragionevolezza che presiede al sistema costituzionalmente protetto ( art 3).

Poichè è irragionevole applicare il principio di concorrenza fuori dai confini naturali per tutelare un principio generico di libera concorrenza che confligge con la difesa del lavoro, dell’occupazione, delle microimprese e danneggia l’interesse nazionale.

Il target   nazionale è la ripresa e essa si fonda soprattutto sull’impiego delle risorse naturali del territorio : devastare il reticolo socio economico del mondo balneare è azione contraria agli obbiettivi.

L’Italia ha oltre 8000km di coste e oltre all’evidenza del turismo marino, ha un’innata vocazione marittima che informa di sè e coinvolge l’intera economia nazionale e tiene  legati, fra tradizioni, attività accessorie, mercato immobiliare il portafoglio e il futuro di un intero popolo e della sua cultura territoriale e mediterranea.

Draghi e le farlocche richieste dell’UE tendono a devastare  tutto questo a spese non soltanto dei diretti interessati ma dell’intera comunità nazionale.

Se ne avvantaggerà  il sistema mega speculativo internazionale, ivi compresa la criminalità’ organizzata già in pool per accaparrarsi il più possibile.

E non si vergogna nessuno.

Neppure quelli che avrebbero dovuto difendere quest’Italia di comunità e invece cantano una vittoria fasulla e incosciente.

Costoro prima che la Waterloo sui contenuti, hanno consentito al governo Draghi, di usare lo strumento della legge delega, che, per farla breve, mette in scena un’inutile trattativa poichè permette al governo di scrivere ciò che più aggrada  nella legge vera e propria che sarà vigente senza il voto camerale.

Si sarebbe dovuto pretendere non solo patti chiari e rispetto dei principi costituzionali ma l’approvazione di una legge vera e propria e non del mandato al governo di fare come vuole.

La cosa più grave di tutte mi pare questo ultimo escamotage. Perché se anche il tuo avvocato è amico del giaguaro, la fossa è già scavata.