E’ bastata una frase di Draghi sulla questione migranti pronunciata davanti a Erdogan (“Forse siamo il Paese meno discriminante e aperto il più possibile, ma anche noi abbiamo dei limiti e ora ci siamo arrivati”) per far insorgere il partito dell’accoglienza indiscriminata. Un’armata buonista che minimizza i numeri degli sbarchi per negare la realtà di un’emergenza strisciante, fonte di malessere sociale e di degrado. Vediamoli dunque questi numeri: dal primo gennaio al 7 luglio 2022 sono sbarcate sulle coste italiane 30373 persone, il 28-30 per cento in più dei 22709 dei primi mesi del 2021, ma nettamente superiore rispetto al 2020, quando gli arrivi furono solo 7554. Nulla a che vedere, si obietta però, di fronte agli 83 mila della prima metà del 2017, quando l’allora ministro dell’Interno Minniti disse che l’ondata migratoria in atto poteva mettere a rischio la stessa tenuta democratica del Paese. Le presenze attuali nel nostro sistema d’accoglienza, inoltre, hanno raggiunto quota 89mila, mentre a fine 2017 arrivarono a oltre 183mila.
A fronte di questi dati, le parole di Draghi sono state giudicate “gravi” perché avrebbero rilanciato la narrazione populista di un’invasione “inesistente”. Ma allora perché la ministra Lamorgese ha lanciato l’allarme per una prevedibile ondata di nuovi sbarchi a causa della crisi alimentare che sta già colpendo Tunisia ed Egitto? Per non parlare della crisi libica, sempre più esplosiva, che ha aggiunto ai migranti dal Corno d’Africa migliaia di operai bengalesi rimasti senza lavoro. O della “rotta calabrese” dalla Turchia, aperta dai trafficanti di uomini dopo la ferrea politica di respingimenti attuata dalla Grecia.
Draghi dunque non ha affatto esagerato dicendo che siamo arrivati al limite: è stato semmai un (molto) tardivo segnale di consapevolezza, oltre che un implicito richiamo all’Europa. In questi anni, in effetti, gli interventi della Commissione sulla gestione delle crisi e sul funzionamento del sistema comune di asilo sono stati del tutto fallimentari, soprattutto per il sostanziale rifiuto degli Stati membri di dare risposte solidali, dietro l’usbergo del Regolamento di Dublino che fa ricadere tutti gli oneri dell’accoglienza sui Paesi di primo approdo.
In questo senso, non c’è da farsi illusioni: l’intesa trovata a Lussemburgo tra i ministri dell’Interno sui ricollocamenti è stata salutata dal governo italiano come una svolta storica, ma è una lettura destinata purtroppo ad essere smentita dai fatti, perché si tratta solo di una riedizione appena migliorativa del disastroso Patto di Malta: non è infatti prevista alcuna redistribuzione obbligatoria, ma si procederà ancora una volta su base volontaria, con la previsione per chi rifiuta di garantire un sostegno finanziario ai Paesi che ospitano i migranti. In sostanza: un incentivo a pagare e a rifiutare di accoglierli. A questo si aggiunge un altro palese fallimento: quello dei mancati rimpatri degli irregolari, una falla comune a tutti gli Stati membri, ma che vede agli ultimi posti Italia e Grecia.
Chi nega l’emergenza, insomma, nega la realtà.