Il governo Meloni si è presentato con un discorso alle Camere di indubbio di spessore e impatto emotivo.
Vi si rinvengono anche utili chiavi di decodificazione.
La più condivisibile è la rivendicazione metodologica del pragmatismo nell’azione politica e di governo.
L’altra è il ritorno alla democrazia ‘decidente’rispetto a quella ‘ interloquente’.
Nella realtà la democrazia odierna più che ‘interloquente ‘è semplicemente formale e suvvalente, rispetto al governo reale della postdemocrazia finanziarista e funzionariale.
La ‘democrazia decidente ‘cosí come evocata, che ambisce a rappresentare la nazione, non può ignorare di essere non la vincitrice, ma la ‘miglior perdente’ 3 italiani su 20 hanno votato il partito del presidente del consiglio, 9 italiani su 20, cioè il triplo, non sono andati a votare.
La democrazia titolata a decidere è quella che è espressa dalla generalità dei cittadini. Non chi promana dal voto di una falange minoritaria e superstite.
La vittoria delle ‘ minoranze attive’è tipica dei regimi totalitari non delle democrazie parlamentari decidenti.
Il futuro anche quello prossimo dirà se ci troviamo come sempre in un viale lastricato di buone intenzioni.
Il problema di fondo è quanto il governo sia realmente fuori dai circuiti che favoriscono il continuismo.
Non deve fuorviare il giudizio, la confidenza fra l’uscente e l’entrante che chiama il primo semplicemente ‘Mario’.
La sostanza è altro.
Vanno mutati con la prudenza e la sapienza necessaria i parametri della valutazione della crescita e ricondotto il debito pubblico nei confini nazionali.
Andrà riscritta la legge bancaria con la possibilità di investimento speculativo soltanto sui titoli del debito pubblico per i risparmi degli italiani e andrà bloccato di fatto il PNRR se non diversamente impiegabile.
È necessario uscire dai ricatti dell’Unione Europea e fare asse con gli interessi dell’Europa mediterranea.
Rimangono moltissime altre iniziative che il presidente del consiglio ha puntualmente ricordato.
Il loro compimento transita attraverso cambiamenti economici, finanziari e dei parametri di misurazione dei fenomeni.
Un esempio per tutti, come giustamente si è ricordato che il montante da tenere in conto sul fronte dell’Agenzia delle Entrate è quello effettivamente riscosso e non quanto richiesto, lo stesso metro dovrà essere applicato in campo finanziario : cassa vera e non nominale, spese effettive e non previste, conti reali e non teorici.
Diversamente la speculazione, la finanza, gli amici di ‘Mario’ domineranno ancora la scena.
Cosí come la democrazia ‘decidente’dovrà eliminare la cosidetta ‘bollinatura’ voluta dai predecessori, che subordina l’entrata in vigore dei provvedimenti votati dal Parlamento all’ ok della Ragioneria generale dello Stato sulla base della copertura nominale ( non reale) della spesa prevista.
I funzionari commissariano la democrazia e la consegnano alla speculazione, attesa anche l’opacità dei criteri adottati.
Il tema è che tutto questo si può fare con una forte volontà governante anche dei singoli ministeri.
Qui si misurerà parecchio della partita.
Il ministro dell’Economia e Finanza è fra i Mario boys, nelle grazie di Mattarella e sponsorizzato dal ministro che ha ricoperto lo stesso dicastero nel governo Draghi.
Il ministro della Difesa è vicinissimo al mondo delle armi e a quello statunitense, proclive a forti investimenti nel settore.
Il ministro degli Esteri è una creatura protetta dall’Unione Europea.
Il ministro degli interni è un prefetto, stessa categoria Lamorgese.
I nodi sono qui.
Intelligenti pauca.
Rimane da vedere l’influenza dei circoli e le fondazioni d’oltreoceano, delle consorterie confessionali che ronzano intorno e dentro il governo.
C’è da verificare nei fatti se il Presidente del Consiglio è conscia non soltanto del conflitto fra interesse nazionale e interessi degli altri, ma di quello fra la nazione e gli amici di Mario, fra democrazia e postdemocrazia, fra libertà e speculazione.
Questi i veri quesiti.