Con l’aumento esponenziale dei prezzi delle materie prime tempi e obiettivi dettati dall’Europa sul Pnrr sono oggettivamente irrealistici, e una rimessa a punto è dunque nell’ordine delle cose. Il Pnrr dovrebbe servire proprio a risolvere i colli di bottiglia burocratici che tengono bloccato il Paese, ma intanto il primo bando per la diga foranea di Genova è andato deserto proprio per la questione dei costi, mentre al secondo una ditta ha vinto ma la concorrente ha fatto subito ricorso al Tar, e c’è il rischio concreto che sia l’onnipotente giustizia amministrativa a far naufragare i sogni del Pnrr. Lo stop all’Alta Velocità Pugliese da parte del Tar locale è in questo senso una triste avvisaglia.
Quella del Pnrr rischia di diventare dunque una corsa a ostacoli, e non è certo una sorpresa che i ritardi si stiano accumulando nel passaggio dall’allocazione dei fondi alla spesa effettiva delle risorse da parte dei soggetti attuatori, visto che negli ultimi cinque anni non siamo riusciti a spendere 70 miliardi di euro di fondi strutturali e che nel 2020 i cento miliardi di scostamento di bilancio per ristori, bonus e cassa integrazione, nonostante fossero tutti destinati ai trasferimenti, giunsero a destinazione con deplorevole ritardo.
Ora il Pnrr ha vincoli di destinazione molto precisi, a partire da digitale, ambiente e infrastrutture, e l’Ue ci chiede di spendere 220 miliardi quasi interamente in acquisti di beni e servizi, che a differenza dei trasferimenti richiedono progetti specifici, e non tutte le amministrazioni sono in grado di metterli a regime. Sulla digitalizzazione, ad esempio, a cui sono destinati ben 50 miliardi, quante delle nostre realtà locali hanno le competenze necessarie? E quante delle 30mila stazioni appaltanti sono oggi davvero in grado di indire e di gestire le gare?
Se un appalto medio in Italia richiede la bellezza di diciassette anni, mentre in Francia, ad esempio, ne bastano sei, è chiaro che stavolta la soluzione non può essere trovata con strumenti ordinari, altrimenti il calendario del Pnrr rischierà di saltare già nel 2023, con lo stop all’erogazione dei fondi. Vanno dunque accelerati l’iter di approvazione dei progetti e il rilascio dei pareri, con una profonda revisione della governance attuale del Pnrr e delle regole per attuarlo, oltre a una trattativa serrata con l’Ue per rivedere obiettivi e tempistiche. Il tema dei costi è un intralcio oggettivo, e il motore di un’utilitaria scassata come la macchina-Italia non può mettersi d’improvviso a correre come una Ferrari. Cosa di cui Draghi si era fatto improvvidamente garante, mentre aveva in mano una scala bucata.