Alla prova della legge di bilancio, il governo non ha offerto un bello spettacolo, ma nulla di particolarmente nuovo rispetto alla regola del caos invalsa fin dai tempi della Prima Repubblica. Per cui sostenere, come ha fatto il Pd, che “la correttezza dei rapporti tra governo e Parlamento è venuta meno”, fa semplicemente ridere.
Anche perché era risaputo che i tempi della manovra quest’anno sarebbero stati molto stretti, avendo votato in autunno, ed è paradossale che oggi a protestare per i ritardi dell’esecutivo siano gli stessi partiti che fecero parte del secondo governo Conte, visto che nella sessione di bilancio di due anni fa furono battuti tutti i record negativi per caos, ritardi e approssimazione, e se l’esercizio provvisorio venne scongiurato fu merito esclusivo del senso di responsabilità del centrodestra.
Per la prima volta nella storia della Repubblica, infatti, la manovra economica fu presentata con un mese di ritardo, e un ramo del Parlamento si trovò a licenziarla – in prima lettura! – la sera del 27 dicembre, con il Senato costretto poi ad approvarla a rotta di collo a ridosso di San Silvestro. Fu la degna conclusione di un annus horribilis gestito da una maggioranza di estrema sinistra senza bussola e senza una minima visione del Paese, dai Dpcm illiberali di Conte fino ai banchi a rotelle, ai bonus a pioggia e alle surreali Primule per distribuire i vaccini. L’improvvisazione al potere, insomma, per cui tutta l’azione del governo rossogiallo è rimasta alla storia come un affannoso esercizio provvisorio, con la terribile eredità del record mondiale di crollo del Pil e di morti da Covid per numero di abitanti.
Quella legge di bilancio, oltre che una guerra dichiarata a partite Iva e proprietari di immobili, fu peraltro una macedonia di misure tampone, di bonus e di frattaglie normative tra cui risaltava il bonus bidet.
Dunque, prima di sparare oggi sul pianista, le sinistre dovrebbero ricordare quei giorni frenetici di fine 2020, quando erano insieme al governo e presentarono la legge di bilancio fuori tempo massimo. E pensare che un anno prima il Pd, per molto meno, aveva fatto ricorso alla Consulta “per la compressione delle prerogative dei parlamentari”. Da un pasticciaccio brutto all’altro, insomma, in cui di anno in anno cencio dice male di straccio.
Anche perché era risaputo che i tempi della manovra quest’anno sarebbero stati molto stretti, avendo votato in autunno, ed è paradossale che oggi a protestare per i ritardi dell’esecutivo siano gli stessi partiti che fecero parte del secondo governo Conte, visto che nella sessione di bilancio di due anni fa furono battuti tutti i record negativi per caos, ritardi e approssimazione, e se l’esercizio provvisorio venne scongiurato fu merito esclusivo del senso di responsabilità del centrodestra.
Per la prima volta nella storia della Repubblica, infatti, la manovra economica fu presentata con un mese di ritardo, e un ramo del Parlamento si trovò a licenziarla – in prima lettura! – la sera del 27 dicembre, con il Senato costretto poi ad approvarla a rotta di collo a ridosso di San Silvestro. Fu la degna conclusione di un annus horribilis gestito da una maggioranza di estrema sinistra senza bussola e senza una minima visione del Paese, dai Dpcm illiberali di Conte fino ai banchi a rotelle, ai bonus a pioggia e alle surreali Primule per distribuire i vaccini. L’improvvisazione al potere, insomma, per cui tutta l’azione del governo rossogiallo è rimasta alla storia come un affannoso esercizio provvisorio, con la terribile eredità del record mondiale di crollo del Pil e di morti da Covid per numero di abitanti.
Quella legge di bilancio, oltre che una guerra dichiarata a partite Iva e proprietari di immobili, fu peraltro una macedonia di misure tampone, di bonus e di frattaglie normative tra cui risaltava il bonus bidet.
Dunque, prima di sparare oggi sul pianista, le sinistre dovrebbero ricordare quei giorni frenetici di fine 2020, quando erano insieme al governo e presentarono la legge di bilancio fuori tempo massimo. E pensare che un anno prima il Pd, per molto meno, aveva fatto ricorso alla Consulta “per la compressione delle prerogative dei parlamentari”. Da un pasticciaccio brutto all’altro, insomma, in cui di anno in anno cencio dice male di straccio.