“Chi non pronuncia mai la parola antifascismo non solo non riconosce le radici della Repubblica, ma rischia di umiliarne la memoria”. Così il Pd ha cercato di spiegare perché il suo gruppo non poteva votare la mozione della maggioranza sul 25 Aprile. Una mozione in cui, secondo la sinistra, la “radice antifascista” non c’è. Una mistificazione in piena regola, tipica di chi si sente da sempre il diritto di impartire lezioni di democrazia dall’alto di una superiorità morale smentita dalla storia e ricorre a ovvietà intervallate però da vistosi omissis. È infatti un’ovvietà dire – come ha fatto il senatore Boccia – che “possiamo festeggiare il Primo maggio e il 2 giugno perché c’è stato il 25 aprile 1945”. Ma perché ha dimenticato di aggiungere che se il 18 aprile del ‘48 gli elettori italiani non avessero sconfitto il Fronte popolare, ancorando l’Italia alle democrazie occidentali, la libertà non ci sarebbe stata e saremmo precipitati in un’altra dittatura, anche se di segno opposto al fascismo?
La realtà è che il Pd non ha voluto un voto unanime per tenersi le mani libere alle manifestazioni del 25 Aprile e di utilizzare ancora una volta quella data per la sua propaganda politica. Del resto, basta leggere riga per riga la mozione del centrodestra per comprendere la strumentalità di certi distinguo, visto che in quel testo non c’è alcuna ambiguità: si richiama infatti la risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 sull’importanza della memoria per il futuro dell’Europa, e in particolare la posizione unanime in essa espressa “contro ogni potere totalitario, a prescindere da qualunque ideologia, e segnatamente contro il nazismo, il fascismo, il comunismo…”. Dunque, la condanna “contro il fascismo” c’è, netta e inequivocabile, ma il Pd obietta che manca il termine “antifascismo”, anche se quella parola non è mai citata nella Costituzione: eppure allora la sinistra non esitò ad approvarla, in nome della pacificazione nazionale, perché nella Carta fondativa della Repubblica ci sono i valori dell’antifascismo in positivo, con una declinazione della libertà e dell’eguaglianza nella loro piena accezione.
Il problema dunque, è un altro: il Pd non accetta ancora l’equiparazione tra antifascismo e anticomunismo, conservando nella propria memoria storica lo strabismo ideologico secondo cui il comunismo non fu un male assoluto al pari degli altri totalitarismi che segnarono nel sangue il Novecento. La mozione della maggioranza si è permessa di ristabilire questa innegabile verità storica, auspicando che gli anniversari delle date cruciali della Repubblica “si svolgano senza trarne occasione per attacchi ad avversari che pure si riconoscono nei principi, nei valori e nel dettato costituzionale, affinché tali eventi rappresentino momenti di effettiva condivisione e partecipazione di tutte le componenti politiche e culturali che si riconoscono nei valori della libertà e della democrazia, e rafforzino i sentimenti di unità nazionale, di inclusione, di perseguimento del bene comune e, ove necessario, di riconciliazione”.
Una riconciliazione che in tutta evidenza non serve al Pd, tuttora ancorato a una strana concezione della democrazia, che viene ritenuta tale solo quando il potere lo ha la sinistra. Così il governo Meloni è un incidente della storia contro cui tutto diventa lecito. Alla faccia delle anime belle della memoria condivisa.