Quando alla Camera dei Deputati Giorgia Meloni rivendicò il suo stato di under dog (sfavorita, non pronosticata) mi sentii rappresentato.
Il destino in combutta con i miei convincimenti mi ha messo nella schiera degli sfavoriti o per le origini o per i razzismi ideologici, le convenzioni sociali, il conformismo che si pasce di protocolli ad excludendum.
O sei dei loro o ti pieghi o devi morire.
Perchè se non muori, rimani lì a incarnare la cattiva coscienza dei servi, dei sottomessi, dei ruffiani, dei leccaculo che impestano e governano le comunità, senza alcuna riserva di amor proprio e dignità.
Sei lì a dimostrare che essere se stessi ancorchè contro, si può.
Quando succede, gli under dog di ogni colore si sentono rappresentati da quell’unità vittoriosa, emblema del riscatto della volontà, della lealtà, delle diversità accidentali o consapevoli, delle idee semplici, talvolta ruspanti o di quelle troppo complesse per essere commestibili.
Sì alcuni, a nuotare controcorrente come i salmoni hanno salvato la buccia e si sono anche fatti onore.
Quanta fatica, ma si è dimostrato che si può farcerla anche senza vendersi, senza favori e amici, con le nostre forze.
Si badi, io non sono un fan di Giorgia Meloni. Tutt’altro.
Ma come altri under dog, gli sfavoriti, avevo piacere di quel successo e mi commossi.
Quando un under dog sale alla ribalta ha fra le altre, due opzioni principali: rimanere se stesso il più possibile, continuare il suo viaggio sull’onda dei valori, in posizione più agevole, ma controcorrente, nel tentativo di restringere il campo d’azione dei pigliànculi. O adeguarsi e sedersi in comoda postazione fra costoro, non più escluso, nè accettato di malavoglia, ma circondato di cure e riconoscimenti.
È successo a tanti, sia pur in guisa e misura diversa, di deludere le aspettative degli sfavoriti e adeguarsi agli usi delle razze padrone che avevano preso a frequentare da posizioni di privilegio.
È accaduto – purtroppo -anche a lei.
Il potere per il potere, durare purchessìa, a vantaggio di un dominio stabile e durevole.
Molti, compreso chi scrive, si aspettava uno slittamento nelle cose di governo ( fare una cosa e proclamarne un’altra), un’alleanza semicoperta con Draghi, Mattarella e il resto della brutta compagnia.
Si immaginava una resa quasi liquida, progressiva, con la tecnica della rana bollita. Della fregatura ti accorgi a cose fatte, quando è comunque troppo tardi.
Si pensava a una tenuta esteriore nell’immagine barricadera, patriottica, militante, da under dog memore delle origini.
Pochi la ritenevano così pervasa da ansia di di accettazione, da sindrome dell’escluso, da quel complesso invincibile dell’ancella, contessa di seconde nozze assisa al tavolo della famiglia nobile in cui è entrata a far parte legalmente, ma indebitamente.
Non parlo di una Meloni partecipe attiva di cerimonie per lei un tempo impensabili.
Come quella dell’avallo dell’ipocrisia di chi, erede del genocida nucleare vede giustificato quel misfatto, trasformato in azione di pace, e così da assassino si ritrova salvatore.
Parlo delle ben più leggere, quanto chiare, immagini di sottomissione fisico -affettiva e confidenziale con il rappresentante del conformismo anticomunitario che l’under dogmilitante ha sempre combattuto senza equivoci, nel rispetto sì delle alleanze, ma anche della verità e dell’onore.
Quel tenersi per mano o farsi cingere affettuosamente ( niente di neanche lontanamente lubríco ovviamente) riluce come sottomissione, accettazione e presa d’atto della posizione di parvenu accolta dal capo dei capi, del quale si fa suddita fedele. E che tutti lo vedano.
Da under dog a uncle tom.
Zio Tom schiavo consapevole, lieto quasi che il bianco dominatore lo consideri e lo mostri come sua fedele appendice.
Niente Braveheart, dunque, nè favole felici, ma ipocrisie consuete e inconsueti miasmi, come ben ci ha narrato senza riserve la neo regina britannica