Sarà anche stata pretestuosa la polemica del centrodestra sulla presunta volontà del Cai di togliere i crocifissi dalle vette delle montagne, ma è un fatto che prima un articolo de “Lo Scarpone”, portale del Club Alpino Italiano, e poi un intervento ad un convegno del direttore editoriale della rivista hanno comunque teso a sminuire il valore della presenza del Crocifisso, proponendo di non installarne di nuovi, tanto che il presidente ha ritenuto di prenderne le distanze chiarendo che il Cai non ha mai trattato l’argomento in alcuna sede e chiedendo addirittura scusa al governo “per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa”. E’ quindi sbagliato parlare di “non notizia”, come qualcuno ha fatto, così come è quantomeno riduttivo affermare che le croci devono rimanere sulle montagne solo perché “sono un segno del territorio”, come si è detto nel convegno. Ma la posizione più divisiva è quella contenuta in un articolo del responsabile social de “Lo Scarpone”, che era ideologicamente molto più netta: “Ma la società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no. Innanzitutto perché l’Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale”.
E poi: “La montagna si carica sulle spalle una gravosa valenza simbolica, capace di influenzare il pensiero collettivo, e quindi il suo messaggio non dovrebbe più riflettere il periodo storico nel quale furono installate la maggior parte delle croci, ma dev’essere riadattato sulle caratteristiche e sulle necessità di un presente che non ha più bisogno di eclatanti dimostrazioni di fede, ma di maggiore apertura e sobrietà”.
E’ stato probabilmente questo articolo a suscitare una querelle qualche decennio fa avrebbe avuto molta meno risonanza, ma in questi tempi di cancel culture imperante certe argomentazioni assumono inevitabilmente una valenza diversa, perché si sta affermando una corrente di pensiero che tende a ridurre il Crocifisso a mero simbolo religioso, e quindi altamente divisivo. C’è, a questo proposito, un lontano articolo di Natalia Ginzburg che merita di essere ricordato: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione… è l’immagine della rivoluzione cristiana che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Il crocifisso è simbolo del dolore umano… La croce che pensiamo alta in cima al monte è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo”.
Invece l’Europa del relativismo, tanto lucidamente descritta in Senza radici da Ratzinger e Pera, sta facendo di tutto per rimuovere il Crocifisso dalla propria storia: basti pensare che il Crocifisso di Munster venne tolto a novembre dalla Friedensaal del Municipio di Westfalia in occasione della Conferenza sulla pace dei ministri degli Esteri – un autentico sfregio proprio nel luogo dove si pose fine alla guerra di religione nel 1648 – sancendo così l’esilio del simbolo che venne riconosciuto come fondamento della pace in Europa.
E, venendo a noi, è di poche settimane fa lo scontro politico sulla presenza del Crocifisso nell’aula consiliare di Torino, la città che custodisce da secoli la Sacra Sindone. Infine, non si contano le polemiche sul Crocifisso nelle scuole, che metterebbe in imbarazzo gli alunni musulmani: la Cassazione ha stabilito che quel simbolo rappresenta “l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo, e per questo la sua esposizione nelle aule scolastiche non costituisce un atto di discriminazione”, ma ha invitato in modo tartufesco a “ricercare un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”, come se il Crocifisso fosse un bene negoziabile.
 
Ma, si tratti di un’aula scolastica o di una vetta alpina, c’è una ragione che non può essere elusa: non esiste identità culturale italiana senza la religione cristiana che l’ha plasmata nei secoli.