“Mettono le mani sulla Repubblica, così la destra stravolge gli equilibri, è un salto nel buio che farà danni”. “Così si va verso il bonapartismo, temo che ci si avvicini pericolosamente a sovvertire l’articolo uno della Costituzione”. Queste prese di posizione di un autorevole politico del Pd (Cuperlo) e di un ancor più autorevole costituzionalista (Cheli) sono solo il prologo della tragicommedia che andrà in scena in Parlamento sul premierato che Meloni ha definito “la madre di tutte le riforme”. Le critiche sono tutte legittime, anche perché il disegno di legge costituzionale presentato venerdì è sicuramente perfettibile, ma il Pd che si straccia le vesti per tutelare le prerogative del Quirinale non si può né vedere né sentire, tante sono l’ipocrisia e la strumentalità dei suoi attacchi. Basta sfogliare infatti gli archivi di Camera e Senato per incappare in una serie di disegni di legge costituzionali presentati da parlamentari diessini tutti tesi a rafforzare i poteri del capo del governo, in sintonia peraltro col programma dell’Ulivo. Nel presentare il ddl 1662 nella XIV legislatura (primo firmatario Tonini), ad esempio, la relazione introduttiva diceva testualmente: “… è prevista l’elezione diretta del primo ministro, un modello in Italia già positivamente sperimentato in comuni, province e regioni, che deve la sua efficienza all’adozione del principio del simul stabunt, simul cadent tra organo consiliare ed esecutivo; un modello qui riproposto con una maggiore dose di flessibilità (come è appropriato trattandosi del livello statuale-nazionale), quale si evince dalla previsione del bilanciamento tra potere sostanziale di scioglimento attribuito al primo ministro, e potere di nomina del premier assegnato al Presidente della Repubblica, che deve esercitarlo in coerenza con i risultati delle elezioni”. Dunque, anche in questo caso, come nella riforma Casellati, al presidente della Repubblica restava un potere solo notarile di nominare il primo ministro.
Non solo: secondo i proponenti (diessini, non dimentichiamolo) il primo ministro italiano doveva acquisire anche il potere di revocare i ministri (cosa che il ddl Casellati non prevede) e di chiedere e ottenere elezioni anticipate, deterrente considerato decisivo per scongiurare fibrillazioni interne alla maggioranza. E attenzione: “… di fronte a un rigetto della questione di fiducia o all’approvazione di una mozione di sfiducia, il primo ministro ha una settimana di tempo per richiedere al presidente della Repubblica elezioni anticipate oppure dimettersi, lasciando il campo a un altro esponente della maggioranza”. Come si vede, una proposta molto simile alla norma anti-ribaltone che ora il Pd contesta su tutta la linea.
Sgombriamo dunque il campo dalle durissime critiche che Schlein e il suo partito hanno già lanciato sul premierato del centrodestra: si tratta di polemiche, a partire da quella sul potere di scioglimento parlamentare affidato al premier, evidentemente contraddittorie con le precedenti riforme proposte dalla sinistra. E’ interessante, a questo proposito, rileggere i verbali della Bicamerale del 1997 e ricordare quanto scriveva il relatore Salvi (diessino anche lui): “In Italia non abbiamo normato in Costituzione il potere di scioglimento. Non credo si possa ritenere che in tutto il resto del mondo dove questi meccanismi sono previsti ci sia una situazione di anomalia politica, istituzionale, costituzionale e democratica”. Lo stesso Salvi aggiungeva: “Come prevede il primo comma dell’articolo 3 il primo ministro, sentito il consiglio dei ministri, ma sotto la sua esclusiva responsabilità può sciogliere il Parlamento. A fronte della richiesta, e una volta acquisito il parere del Consiglio dei ministri, il decreto di scioglimento è un atto dovuto” (per il Capo dello Stato, ovviamente). E a chi lamentava il declassamento di fatto dei poteri presidenziali, Salvi ricordò che nel gennaio del ’96 lui, Bassanini, Fisichella e Urbani delinearono con “una bozza chiaroveggente” una riforma delle istituzioni secondo la quale “al Presidente della Repubblica, privato delle funzioni di responsabilità che comportano una ingerenza nella formazione dei governi e nella soluzione delle crisi di governo (scioglimento del Parlamento), potrebbero essere attribuiti significativi poteri di garanzia”. Senza però specificare quali.
Quanto al premierato, anche la tesi numero uno del programma elettorale dell’Ulivo per le elezioni del’96 esprimeva un’idea molto chiara: “Appare opportuna nel nostro Paese l’adozione di una forma di governo centrata sulla figura del primo ministro, investito a seguito di voto di fiducia parlamentare in coerenza con gli orientamenti dell’elettorato”. Tale e quale, insomma, all’attuale proposta del centrodestra: serve altro per dire che il Pd, ancora una volta, sta ciurlando nel manico?