Qualche tempo fa, a una presentazione del mio ultimo libro, a Brescia, mi fu posta la domanda di come pensassi di poter arrivare a tutti i cittadini e convincerli a darsi da fare.
Premisi che non è compito di chi studia,
pensa e scrive onerarsi di responsabilità metodologiche e organizzative.
Avrei voluto dare due risposte. Una la tenni per me, l’altra la espressi.
Tenni per me il pensiero riassunto da una frase di Mussolini: ‘ I popoli che non amano portare le proprie armi finiranno per portare quelle degli altri’.
Versione parabellicosa di un detto della protolatinità, senza padre certo, ma perfino abusato e in più versioni : ‘ognuno è artefice del proprio destino’.
Sarebbe forse parsa una critica inutile e un vulnus a qualche suscettibilità.
Ricorsi alla seconda delle risposte attingendo al maestro della concretezza politica, il rivoluzionario per eccellenza Vladimir Ilic Ulianov, più noto come Lenin.
La sua rivoluzione predicava un mondo senza classi, una società di eguali. Ma neanche per Lenin, che pur lo insegnava come dogma, uno vale uno.
C’erano le cosidette avanguardie della classe operaia, le classi dirigenti del partito che avrebbero educato e condotto le masse.
Risposi cosí.
Se ci fosse da attingere alle avanguardie odierne, ci sarebbero tutte le condizioni per rimanere vittime di un attacco di panico.
Per tutto quello che si è detto fino a oggi e per l’ultimo show messo in scena.
Un ministro decide di chiamare a una responsabilità scolastica formativa contro la violenza sulle donne una personalità omosex, impegnata per i diritti sulla libertà sessuale, già parlamentare Pd e di formazione e idee conseguenti all’impegno.
Personalità stimata unanimemente, onesta e trasparente, mai fuori dalle righe nei modi e nei contenuti.
Una destra rozza e ottusa, incarnata nei due movimenti più rappresentativi oggi al governo e nel codazzo bigotto denso di beghine e personaggi filoclericali, reazionari e parassiti, si oppone a gran voce alla nomina sia a causa delpl’orientamento sessuale, sia per le idee professate.
Se Atene piange Sparta non ride.
A sinistra personaggi e circoli settari e reazionari a profusione, trincerati nelle loro teorie, incapaci di capire qualcosa aldilà del catechismo vetero clericalcomunista, inscenano lo stesso can can.
Si chiedono provvedimenti disciplinari, perfino l’espulsione dal partito.
Costei dando lezione di stile e di libertà si fa da parte e il ministro per non dar soddisfazione ai detrattori non la sostituisce, ma abolisce tout court l’organismo.
Il silenzio di Mattarella si unisce ai molti altri del Mondo di sopra.
In questa prova di imbecillità e malafede collettiva, forse qualche nota positiva c’è.
Non poche voci di qua e di là si sono alzate a difesa della nomina, della nominata, dei diritti e della libertà di scegliere le competenze senza steccati di alcun genere.
Si è manifestata una voglia di andare oltre forse verso la dignità dei ruoli, delle istituzioni, della libertà di pensiero e della sua applicazione.
In uno con questa brutta pagina un’altra flebile fiammella si accende a Bologna la rossa, cosí chiamata sia per i suoi colori, sia soprattutto per essere la capitale mondiale e culla del comunismo occidentale.
Là nel 1999 un commerciante di carni, civico e votato dal centrodestra spodestò l’amministrazione rossa di Bologna.
Come se alla Mecca andasse a governare il Papa.
Oggi il sindaco pd di Bologna, anzichè rinfocolare anatemi contro l’atto blasfemo alla fede togliattiana della città o fissare come data da celebrare il giorno della riconquista del comune, riconosce il valore democratico della vittoria del macellaro.
Apprezza i benefici dell’alternanza per la città e la democrazia e intitola una piazza in pieno centro al Sindaco civico vincitore alle elezioni sul dominio rosso di Bologna.
Segnali tenui.
Da non sopravvalutare nè spacciare come quella luce in fondo al tunnel evocata da Monti in poi.
Luce mai raggiunta o pervenuta forse per l’indefinita lunghezza del tunnel.
È lecito coltivare una piccola speranza che ci sia un po’ di stoffa perchè si formino delle avanguardie neodemocratiche e si parlino fra loro senza riserve, per costituire una base anche culturale e avviare un salutare percorso di disintossicazione del sistema.