Spesso piccole cose sono segnali di grandi ipocrisie.
Come quella senatrice simbolo del rigore istituzionale colta a farsi condurre il carrello della spesa da agenti addestrati e pagati dal pubblico denaro per farle da scorta, non da famigli.
Uno dei tanti segnali di una classe dirigente un po’ cafona, raffazzonata, lontana dall’eticità dei ruoli, affamata di privilegi, talvolta con inesauribile brama di denaro, troppo spesso convinta del diritto all’impunità.
Sono di questi giorni alcuni comportamenti non illegali, ma spie dello sbracamento generale, nella certezza che nulla accadrà, che si può fare tutto.
Lucia Annunziata, giornalista schierata, ha un curriculum ricco di cose di spessore anche se all’ombra dei capitali più cospicui della nazione. Privati, pubblici, parapubblici.
Costei rappresenta da decenni una sorta di icona dell’informazione, legata alle sue idee, stimata perchè di qualità e fuori dalla mischia dei giochetti di partito.
Un simbolo che mai avrebbe potuto accettare posizioni da specchietto per le allodole, strumento di bassa lega elettorale per questo o quel partito, come è trista usanza di pseudo monumenti carismatici , scivolati miseramente alla prima proposta di seggio.
Mai? Mai un cavolo.
All’occaso della vita professionale Lucia Annunziata accetta un capolistato acchiappavoti per il Pd.
Facile per i detrattori squalificare tutto un percorso e sospettare una vita
di opaca partigianeria strumentale, un uso peloso di una funzione spesata per decenni dal pubblico denaro. Un reflusso acido che non passa.
Se Atene piange, Sparta non ride.
A destra si sono sempre considerate positivamente le mogli discrete e riservate dei personaggi di spicco.
Rachele, con la pezzola in capo a far faccende domestiche, mentre il marito sfidava il mondo e la morale del tempo esibendo senza ritegno un’amante, leniva antipatie, blandiva simpatie.
Anche Carla Gronchi fa solidarietà. Spalla sapiente nella vita pubblica del marito, moglie ipertradita, ma silente, capace, dedita alla famiglia e ai suoi destini.
In fondo come Laura De Cicco riservata moglie della seconda carica dello Stato. Defilata, dignitosa, comprensiva. “Io non sono molto gelosa però sulla sua fedeltà non metterei la mano sul fuoco.”
C’è una destra conservatrice e dabbene che si pasce di personaggi con queste caratteristiche. Evocano certezze, onestà, amore per la famiglia , trasparenza a beneficio del ruolo pubblico del consorte.
Donna ignota alle cronache, perfino capace di sopportare che il marito, indossato il cimiero di penne simbolo tribale, abbia unito al primogenito Geronimo i due figli Apache e Cochis, in un’epopea infantile che aumenta la stima di chi, senza lamenti, lo ha per marito e compagno di vita.
Senonchè la materfamilias disinteressata delle cose del mondo, trova ex abrupto la vocazione di speculatrice immobiliare e acquista e rivende nel giro di un’ora una villa in Versilia, con un guadagno fulmineo e di grande entità.
Il tutto insieme al compagno di una ministra spesso troppo chiacchierata e da sempre fuoriposto.
Sfugge che la moglie della seconda carica dello stato non appare in linea con forma e contenuto del ruolo, quando e se si impélaga in speculazioni immobiliari specie se apparentemente disinvolte, suscettibili di cattive chiacchiere e antipatici sospetti.
Non si fa, non si deve fare. Non sta, non depone. Esempio mortifero.
Le giustificazioni della signora De Cicco non migliorano il quadro ” La compravendita è avvenuta tutta alla luce del sole e la plusvalenza a me riferibile è stata da me incassata ed è sempre rimasta nella mia disponibilità”.
Cioè è tutto legale, ho guadagnato alla luce del sole una fortuna. E i soldi me li sono tenuti per me. Nulla di male, tutto normale. E chi ha avuto ha avuto. . . con quel che segue. Punto. Roba da brividi.
La dichiarazione di legalità appare il clou del disastro. I cittadini non sono pm, nè certi comportamenti possono dirimersi in legali o illegali. O sono etici e conformi a pubblica stima o non lo sono. Se sono illegali è un peggiorativo, ma la circostanza ininfluente per l’eventuale giudizio di censura.
Smarrita la destra francescana di Almirante e Tatarella, dimenticato il motto ‘ neanche il sospetto può sfiorare la casa di Cesare’, invade il campo la destra dei danè, della bella vita, della Milano potabile, dei già-Capalbio e dei circoli esclusivi, una volta rossi e vituperati.
Sembra esclusa la consapevolezza e la conoscenza dell’abc del ruolo, delle responsabilità, della credibilità da conservare quantomeno ab aexterno.
‘O tempora o mores ‘ anche a destra adesso si potrebbe tradurre in ‘è tempo di more ‘. . . e di grandi scorpacciate. Legali si intende.
Piove a dirotto e non c’è ombrello di legalità che tenga.