Un governatore qualche giorno fa proponeva di rendere obbligatoria almeno una consiliatura comunale, per chiunque volesse aspirare ad incarichi pubblici di rilievo, valutata la patente impreparazione di gran parte della classe dirigente di questo paese. Ed effettivamente una delle poche certezze che ci rende l’emergenza che stiamo vivendo, è la mancanza di una classe dirigente capace di assicurare una dignitosa guida politica al Paese. Una sorta di rivolgimento giacobino ha infatti consentito a una pletora di miracolati col monopattino, di invadere le Istituzioni con la protervia tipica degli incompetenti al potere. Uno stravolgimento portato avanti al grido di “uno vale uno”, che nelle intenzioni ambiva all’abrogazione del privilegio quale modus operandi della politica, ma nei fatti ha confuso casta ed elite, recando un irrimediabile danno al Paese.
Sì, perché il risultato primo e più evidente di questa teoria che rifiuta diversità e pluralismo (e quindi anche la competenza) in nome di una drammatica omologazione verso il basso, è stata la proposizione di improbabili e inadeguati soggetti, sulla tolda di comando di questo paese. È così infatti, che ci siamo ritrovati un liquidatore assicurativo al Ministero delle Infrastrutture e un’addetta alle buste paga a quello dell’economia, tanto per citarne un paio. Nella Prima Repubblica le scuole di politica erano il lasciapassare pressoche’ esclusivo per i palazzi che contavano: lì si acquisivano i fondamentali che poi si sperimentavano nelle assise locali, prima di meritarsi (forse) la ribalta nazionale. emblematico il cursus honorum di Pierferdinando Casini, responsabile locale e nazionale dei giovani della DC e poi assistente di Forlani, prima di entrare in Parlamento. Oggi sono solo apparentemente tornate in auge le scuole di politica, ma sono come le pochette di Conte: inutili orpelli di cui fare bella mostra e niente di più. La selezione della classe dirigente avviene altrove: magari sui social o peggio, guadagnandosi la candidatura grazie a meriti che con la politica nulla hanno a che fare.
Ecco allora come si arriva al paradosso attuale, della sperimentata inutilità di un Governo in una fase di crisi. Il lockdown è arrivato oggettivamente tardi, con Ministri e leader che a febbraio han fatto a gara a minimizzare la gravità dell’epidemia in corso. fosse giunta prima, la chiusura sarebbe durata di meno e soprattutto avremmo salvato molte vite in più. I 3 mesi trascorsi poi, non sono serviti né a sostenere le Regioni nell’emergenza sanitaria (mancava tutto negli ospedali, dai respiratori alle mascherine) né ad una adeguata la pianificazione della fase 2: emblematico è il caso della app “immuni”, dipinta come la panacea di tutti i mali, ma ancor’oggi nemmeno scaricabile. E la ripartenza? C’è voluta l’insurrezione dei Governatori per anticiparla di 15 giorni; idem per le distanze nei locali: a dar retta a Governo e INAIL non avrebbe riaperto nemmeno un bar o un ristorante. Negli Stati economicamente e socialmente più evoluti, si progredisce col costante apporto della politica, che talvolta spinge da dietro, talvolta sostiene affiancando, qualche volta addirittura si pone davanti, guidando l’iniziativa privata. Nel nostro paese invece, i pochi risultati si raggiungono nonostante la politica, che se si è fortunati sparisce, ma sovente capita che metta addirittura i bastoni fra le ruote a chi ha l’ardire di provare a produrre ricchezza o anche solo a migliorare ciò che non funziona.