Abbiamo il peggior governo che gestisce nel modo peggiore la crisi peggiore dal dopoguerra, ma il mantra ripetuto nei Palazzi e sui media è che Conte deve andare avanti perché l’emergenza non è finita e non ci sono alternative politiche. Lo dicono personaggi autorevoli e molti dei commentatori. Lo fa capire neanche velatamente il Quirinale.
La motivazione è che il centrodestra a trazione sovranista non è affidabile. Questo è la giustificazione per coprire le ferite già prodotte al Paese dal regime dei Dpcm, dai comitati tecnico-scientifici, dai ritardi nell’inseguimento del virus, dallo scaricabarile sulle Regioni, dai soldi che non arrivano facendo morire le imprese.
Dopo l’apparizione dei gilet arancioni del generale Pappalardo, l’offensiva contro l’opposizione “fascioleghista” ha trovato un nuovo robusto appiglio per fare di tutta l’erba, appunto, un fascio e creare un’osmosi subdola e improbabile tra il centrodestra parlamentare e quello neogrottesco del generale.
Siamo di fronte a uno di quei casi in cui l’accusa ha tutte le armi in mano, compreso l’arsenale economico, cioè uno scostamento di bilancio di 80 miliardi approvato e in cui spetta all’imputato l’onere della prova. Nel senso che non bastano le piazze (semi) unitarie a lanciare l’opa sul governo del Paese nel momento in cui le Cancellerie europee cominciano a nutrire dubbi sulla capacità rossogialla di utilizzare al meglio le risorse che dovrebbero arrivare dall’UE.
Ogni giorno in questo senso si levano voci dissonanti: Salvini e Meloni dicono una cosa, Berlusconi un’altra molto diversa, anzi opposta. Da sempre la politica estera è un tratto costitutivo dei governi e delle maggioranze e presentarsi divisi sui rapporti con l’Europa oggi significa condannarsi a una corsa ad handicap facendo perdere in partenza credibilità a un’alternativa che per i sondaggi gode della maggioranza dei consensi.
I sovranisti non hanno esaurito la spinta propulsiva, visto che il principio dei vasi comunicanti ha trasferito a Fratelli d’Italia i voti in uscita dalla Lega, per cui i voti potenziali della destra restano oltre il 40 per cento. La partita si gioca tutta sul terreno economico, e il centrodestra ha il dovere di ripartire da qui: burocrazia zero, flat tax e pace fiscale sono obiettivi condivisibili, ma occorre un salto di qualità.
La maggioranza è divisa su tutto, ma l’opposizione non può permettersi questo lusso. Per far ripartire l’Italia c’è una strada obbligata: grandi investimenti e riforme strutturali che ridisegnino fisco, sanità, istruzione, giustizia e pubblica amministrazione.
Il centrodestra, da sempre il più vicino all’Italia che produce, ha invece il dovere di accettare la sfida, e per far questo occorrerebbe costruire da subito un’alternativa solida ad una maggioranza più proclive ad assistere anziché’ sostenere il lavoro e le imprese.
Non sono un economista, non so quali sia la ricetta migliore da proporre. Ma una cosa credo di averla chiara: che le divisioni nel centrodestra rischiano di diventare un’assicurazione sulla vita di questa maggioranza.
Prima si scioglie questo nodo, meglio sarà per l’Italia.