Alle porte delle ferie agostane si aprono i comizi della campagna elettorale più anomala della storia, nell’annus horribilis del Covid19 in cui tutto è stato fatto sull’onda dell’emergenza. Le adunate però sono sempre meno partecipate, i richiami al “serrate i ranghi” delle segreterie dei partiti si sciolgono come gelati nell’acqua calda, i volantini con le facce sorridenti dei candidati si afflosciano, abbandonati su qualche tavolo, sotto la calura estiva. Ma la disaffezione per la politica e per chi la pratica non è da imputare solamente all’imminente partenza per le vacanze ma affonda le radici in un progressivo decadimento della classe dirigente italiana che ha portato l’avversione nei confronti di chi amministra la cosa pubblica a livelli mai visti prima. Ormai quest’arte antica, lungi dall’essere ciò che l’etimologia greca del nome dichiara, ovvero “arte che attiene alla città”, è diventata un mezzo come un altro per costruirsi una carriera, spesso ben remunerata, o peggio ancora per sistemare qualche interesse di bottega. Alcide De Gasperi diceva: “Ci sono molti che nella politica fanno solo una piccola escursione, come dilettanti, ed altri che la considerano, e tale è per loro, come un accessorio di secondarissima importanza. Ma per me, fin da ragazzo, era la mia missione.” Su questa frase potremmo scriverci un romanzo anziché un articolo di giornale tanta è la verità che trasuda da queste poche ma significative parole. Con la fine dei partiti strutturati e l’avvento di twitter, che ha sostiuito il frequentare la sezione, studiare, confrontarsi, si sono aperte le porte ad un modus operandi becero e violento. La comunicazione è priva di sostanza e di contenuti, il substrato culturale è totalmente assente, i selfie hanno soppiantato il dialogo con quel popolo che si vuole amministrare e che, giustamente, spesso risponde ai politici con lo strepito del battito delle pentole e dei coperchi manifestando loro tutto il proprio disprezzo. Non faccia meraviglia, poi, che si trovino consiglieri comunali, assessori, sindaci ma anche consiglieri regionali e parlamentari che non hanno la benchè minima idea di che differenza passi tra una determina e una delibera, come funzioni il bilancio di un ente locale, che ignorano del tutto i principi più elementari dell’iter burocratico di un provvedimento amministrativo. La mancata selezione a monte e la dismissione delle scuole di partito, dove ci si formava ma soprattutto si studiava la politica, hanno provocato (specie in movimenti cresciuti esponenzialmente nel giro di poco tempo) all’immissione nel circuito di persone, quando va bene, impreparate e nel peggiore dei casi eticamente e moralmente discutibili. Il carrierismo e l’ambizione più deleteria hanno preso il posto allo spirito di servizio nei confronti della comunità. Certamente le varie riforme stratificatesi nel tempo non hanno aiutato: a fronte di una pletora di amministratori locali bistrattati e sottopagati, infatti, ha fatto eco l’aumento dei privilegi di una parte della politica che, a rischio zero, occupa i posti più alti del cursus honorum. Non faccia meraviglia però se prendersi cura della politica sia ormai retrocesso a un passatempo per quando fuori piove, per alcuni; a un modo come un altro per fare soldi e macinare tappe per altri. Collegi bloccati e nomine per acclamazione chiudono il cerchio di una morte annunciata della classe dirigente italiana. A pensarci bene, forse, fece meno danni Caligola che volle nominare console “incitatus” il proprio cavallo di razza.