Quando si affievolisce l’abbrivio dei politici che puntano sul consenso fondato su slogan e sul promettere e dire quello che la gente si vuol sentir dire e promettere, i nodi incominciano a venire al pettine. Ci si avvede che quel modo di acquisire elettori si esaurisce abbastanza presto. Le rapide ascese senza fondamenti ideali profondi producono dopo il repentino successo un declino che diventa nel medio termine irrefrenabile. A quel punto inizia un balletto, consueto, che in genere viene definito con un eufemismo del lessico politico, ‘fase 2”.
I punti sono tre:
1) Il capo annuncia l’avvento di un gruppo per la conduzione del movimento. Serve a sedare i mugugni interni e rafforzare il leader che istituzionalizza una collegialità apparente quanto ininfluente.
2) Si annuncia una svolta: o liberale o socialdemocratica o europeista, centrista e via così. Si tenta di rassicurare, con l’annuncio del cambio di pelle, che il movimento sarà solido e durevole. Ma non va a finire mai nel modo auspicato: le querce non fanno limoni.
3) Si dichiara di voler allargare la classe dirigente cercando nella società civile fra le migliori professionalità da prestare alla politica. Il primo e il secondo punto sono privi di sostanziali controindicazioni. Il primo rimane un fatto interno. Il secondo è il tentativo di accattivarsi elettori sinora semiostili o agnostici e di attutire il fuoco di sbarramento degli avversari. Una sorta di cambio d’abito, rassicurante, che ammetta nel club chi se ne era autoescluso per cogliere l’effimero successo. È il terzo punto il baco vero. I situazionisti a cavallo della tigre han fatto come le cicale: han cantato a squarciagola finche’ il sole impazzava. Hanno navigato a vista col vento in poppa senza prevedere per i tempi di magra una base culturale di sostegno e una classe dirigente adeguata. È utile scegliere candidati e eletti inidonei, poco pronti, devoti e fedeli. Come è vantaggioso allontanare dal proscenio i più capaci, potenziale pericolo per il re del momento. Non si annuncia il proposito di qualificare la proposta politica e la propria classe dirigente, si dichiara di inaugurare un’altra pesca delle occasioni: spacciare idee altrui e spigolare personale dalle professioni, dall’impresa. Non si pensa che questo metodo corrisponderebbe al fatto che per riparare alla crisi della sanità, liquidati i medici, ci si avvalesse di ottimi agenti di borsa, professori di agraria, filosofi, esperti in cibernetica. O per sopperire alla crisi e agli scandali della magistratura, si insediassero tribunali del popolo.
La politica è una disciplina che richiede competenza e professionalità. Non è per il mondo degli uni vale uno, né per l’esibizione di competenze estranee a quella specifica richiesta per rappresentare e governare.
Si è nella politica che non mi piace: prima si sfodera il tribuno acchiappavoti, si fa tabula rasa di competenze, ragionamenti, gerarchie e si incassa un consenso labile e provvisorio. Poi si finge un cambio culturale e gestionale, per far intendere una svolta che rimane priva dei presupposti, falsamente rassicurante. Infine si deprimono ancora di più le istituzioni rassicurando con una nuova classe dirigente estranea e dotata di capacità che nulla hanno a che vedere col tema. Cliché’ dannoso per la democrazia e il paese, ma redditizio per un altro po’ di effimero consenso. E la barca va.