Sia per il covid 19 che per le elezioni americane la pochezza dei protagonisti ricorda che quando gli attori sono piccoli interpreti di grandi eventi la diagnosi è infausta. Grave che gli USA abbiano avuto un presidente come Donald Trump. Ancor più grave che ci siano stati disordini, spogli infiniti, accuse di brogli. Irreparabile che i competitor fossero una mezza figura di quasi ottant’anni e un uomo quantomeno controverso di 75. Gravissimo che un evento drammatico come la pandemia sia stato gestito in Italia in modo tanto superficiale. L’insufficienza della classe dirigente ha favorito l’emersione del potere del mainstream. In Usa le censure al pensiero, anche se sballato, di Trump da parte di twitter facebook e delle grandi reti tv, è un fatto che non ha precedenti. In un paese dove tutti la possono pensare come vogliono, dove gruppi nazisti esprimono liberamente le loro convinzioni, si censura un presidente in carica. In Italia il terrore pandemico è alimentato dall’informazione e dalla rete. Il pensiero unico scorre in alvei che non ammettono deviazioni e penetra ovunque: non si dice più ‘crepi il lupo’, ma ‘viva il lupo’. Una corsa al conformismo che colpisce qua la statua di Montanelli e canzonette come “Zingara” o “Angelo negro” e là le statue di Lincoln e Colombo e i film Dumbo e Lilli e il vagabondo. Enrico Mentana spiegò che le grandi multinazionali non pagano imposte ai governi dei paesi dove operano. Però, chiarì, danno somme anche superiori per opere sociali. Pensano che i governi non siano capaci di spendere bene, che loro ci capiscano di più provvedono direttamente. Mentana illustrava la filosofia del nuovo ordine dei mercati che ha per obbiettivo il depotenziamento delle istituzioni per sostituirsi nel governo del pianeta. Unite le tessere esce il mosaico. Il nuovo ordine dei mercati decide cosa si può dire e cosa no, decide il destino dei politici mondiali dall’America a “giuseppi”, impone il mainstream in Italia, in Europa, negli Usa, distrugge le diversità e le culture di comunità’, elimina ogni simbolo possibile, ricorre ai più ‘ vari espedienti. Stessa sorte per l’economia segmentata e diffusa. Quando si dice “ ma questa è una dittatura “si pone il problema sbagliato. Si dovrebbe parlare di ‘stato totalitario’. Concetto non omologo. Lo stato totalitario è l’ordinamento che riconosce forza e cittadinanza soltanto a una dottrina, un centro di potere superiore, una lettura univoca degli eventi e che tende a eliminare le diversità rispetto al pensiero unico. Democrazia e stato totalitario sono compatibili. L’imposizione di fatto del mainstream, di una cultura dominante che esclude le altre, la univocità delle fonti di informazione, le autocensure, i silenzi. Si vota, ma se non sei in linea sei out. Si vota ma il potere è in mano ad altri e diversi dalla politica. Lo stato totalitario deprezza le istituzioni e toglie loro la stima dei cittadini, le fa apparire inutili, inaffidabili ed ha cura di devalorizzare lo spessore del personale politico. Lo stato totalitario in democrazia ha colonne robuste. È’ sostenuto dal politicamente corretto, dai centri di potere finanziario, dai leader della cultura, dall’uniformità dell’informazione in un processo lento e inarrestabile che avvinghia un popolo avviato alla sottomissione inconsapevole. Allo stesso modo è ben più semplice terrorizzare con le paure ataviche per distruggere fasce di società e tipologie economiche dissonanti piuttosto che perseguitarle con tasse divieti, demonizzazione, come i fallimenti delle politiche di austerity hanno dimostrato. L’affermazione dello stato totalitario nei sistemi democratici è proprio del nuovo ordine dei mercati. Sottolinearne i passaggi non è da folli complottisti ma da osservatori disincantati. Ma far passare per pazzi i dissenzienti è per l’appunto risorsa tipica degli stati totalitari.