La fine ingloriosa di Mussolini e l’avvento da protagonista sulla scena politica del fronte antifascista che partorirà la Costituzione repubblicana e governerà indiscusso fino a quando le procure non gli staccheranno la spina, condannarono per cinquant’anni un certo tipo di destra alla quasi totale irrilevanza. Se è pur vero che una qualche reminiscenza della destra storica poteva rinvenirsi in frange della Democrazia Cristiana, quella dura e pura rimase relegata nel MSI di Almirante a percentuali ininfluenti. Lo stigma della guerra combattuta a fianco della Germania, una certa narrazione sui fattacci del post ’43 che avrebbero dovuto cancellare dalla faccia della terra ogni traccia di chi, più o meno, aveva avuto a che fare con il fascismo (come spiegò Pajetta in maniera mirabile) e il disegno delle potenze straniere che insieme al Vaticano scommisero tutto su un grande centro che, quasi sempre, catalizzava anche i voti della destra in chiave anticomunista fecero il resto. Ci volle il Cavaliere che con uno dei suoi giochi di prestigio rimise in circolo e lanciò sulla scena una intera classe dirigente divenuta “presentabile”. Quello che non riesce nei laboratori dei chimici e degli scienziati spesso riesce in quelli della politica e coloro che furono i protagonisti di un movimentismo fatto di lotta dura fuori dalle istituzioni diventarono sindaci, parlamentari, sottosegretari, ministri fino alla presidenza della Camera. Ma come diceva Diogene Laerzio, la gratitudine è la cosa che invecchia prima. E fu così che la fusione a freddo di Forza Italia e Alleanza Nazionale in quella che è stata una delle più grosse intuizioni politiche della storia repubblicana, il Popolo della Libertà, si sciolse come neve al sole. Anziché cogliere l’occasione che il fato aveva concesso a chi il mainstream dei giornaloni e delle televisioni, delle Università e dei salotti buoni, aveva sempre considerato antropologicamente inferiore, moralmente disdicevole e penalmente condannabile ci si mise a litigare per interessi di bottega o peggio ci si vendette per trenta denari a interessi stranieri con la benedizione del Colle. Pertanto un centrodestra liberale, forte in politica estera, difensore dell’impresa e del risparmio è rimasto la declinazione più spicciola di una convivenza mancata, di una fusione mai completamente realizzata e, chissà, forse nemmeno fino in fondo voluta. Gli scandali sessuali di Berlusconi, l’appoggio ai Governi Monti e Renzi, le vicende tristanzuole dei Verdini e degli Alfano sono il corollario della più grossa occasione persa che il centrodestra abbia mai avuto nella storia. Si dice che la politica non conosca il vuoto. Osservando gli attori che calcano oggi le scene forse era meglio saltare un giro e approntare una decente ripartenza.