La pandemia nata dal mercato degli animali di Wuhan ha messo a nudo l’incapacità di tempestiva reazione da parte di tutti i governi. Tutti meno uno, perché la Cina, a detta anche dell’Oms “ha organizzato lo sforzo di contenimento più ambizioso, veloce e aggressivo della storia dell’umanità contro una nuova malattia infettiva”. Ora, l’Oms non è l’Oracolo di Delfi, ne’ quando parla di epidemie, men che meno quando si esprime sulla Cina. È innegabile però che, nonostante la poca trasparenza iniziale, la Cina abbia reagito all’epidemia in modo rapido ed efficace, quarantenando in un amen quasi 70 milioni di abitanti, con una ricerca capillare dei contagiati, anche attraverso l’utilizzo di sviluppatissime tecnologie. Ha costruito ricoveri ed enormi ospedali in meno di due settimane, fondamentali per la cura ma anche per l’isolamento dei contagiati. E’ uscita prima e meglio di chiunque altro dalla fase di emergenza, riuscendo a limitare il virus: gli Usa (ma anche l’Europa) hanno un numero di contagiati 20 volte superiore, nonostante abbiano un quinto della popolazione della Cina. Le emergenze sanitarie sono il classico “caso di scuola”, in cui i metodi di un sistema autoritario dimostrano la propria efficacia: militarizzazione degli spazi aperti, lockdown che diventa coprifuoco, tracciamento h24 dei movimenti. Insomma, un Grande Fratello statale che è però risultato decisivo nell’arginare il Covid-19. Nelle democrazie liberali invece, il conflitto tra tutela della salute pubblica e delle libertà individuali, ha limitato l’efficacia dell’azione di contrasto al virus: è emblematico in proposito, che nonostante si stessero contando a migliaia i nuovi contagiati e morti ogni giorno, si continuavano a sollevare questioni di violazione della privacy del cittadino, verso i provvedimenti emergenziali assunti dalle autorità. La pervicace difesa di alcuni diritti fondamentali ha probabilmente salvaguardato la nostra dignità di uomini liberi, ma sicuramente ha aggravato gli esiti dell’epidemia, causando anche un’uscita più lenta dalla fase acuta della crisi. Se si allarga lo sguardo poi, l’economia cinese nonostante tutto continua a correre, spinta da un dirigismo statale molto invasivo, ma comunque efficiente (questa la grande novità), che ha sottratto alla povertà decine di milioni di cinesi, costituendo una sterminata classe media, vero motore per l’ascesa di ogni società. In occidente invece, la deriva finanziarista dell’economia sta sempre più concentrando la ricchezza in mano a pochissimi, trasformando quelli che erano i rappresentanti del ceto medio in un esercito di consumatori, sempre più incazzati e volubili, in preda ad un rapporto sempre meno razionale e sempre più emotivo nei confronti della classe politica, soprattutto quando diventano corpo elettorale. Il coronavirus non ha scoperchiato il vaso di pandora: la crisi delle democrazie in occidente era già in atto. Ha solo accelerato il processo. E’ vero che i diritti e le libertà individuali (calpestati dal regime cinese) sono valori fondanti per le società occidentali: sono Colonne d’Ercole che possono essere attraversate solo in un senso. È altrettanto vero però che se la crisi delle nostre democrazie non dovesse risolversi, chi si sentirebbe di escludere che l’opinione pubblica occidentale, delusa, stanca e impoverita, potrebbe alla fine guardare con interesse ad una leadership forte, che proponesse la sospensione di alcuni diritti fondamentali, in funzione del raggiungimento di un determinato obiettivo? Tanto più che questo sarebbe un target per nulla sgradito alla finanza, di per se’ totalitaria, che richiede velocità e rapidità decisionale, per la sua vitalità, non sedotta da libertà personali e esercizio dei diritti, ma da ben altro.