Diventerà forse il segretario del Pd dopo la non positiva esperienza di Enrico Letta.
Stefano Bonaccini, navigatore abile a riconoscere le buone correnti, probabilmente salirà ai vertici del suo partito in rappresentanza di una sinistra meno cristiana e più ‘democratica’. Sempre e comunque moderata, europeista, filoatlantica, amicissima Usa, Nato, banche e finanza . Come usa oggi.
Gli estremismi a sinistra anche con Bonaccini, saranno lasciati ai gabbati dallo pseudosindacalista con gli stivali, e al verboso Conte. Costui, duttile di parola, posizioni e valori, è presidente, di un partito che da non partito è diventato un country soviet party, con lusinghiero avvenire.
Con Stefano Bonaccini ebbi una sola occasione di incontro.
Fummo ospiti in una trasmissione televisiva nel 2014. La registrazione è ancora integralmente rinvenibile in You Tube.
Non fu un incontro felice.
Il Bonaccini di allora, aveva una ben diversa immagine e non ingannava sul suo pensiero, la sua matrice, la sua (dis)educazione al confronto.
Troppo giovane per essere stato allevato alla mitica scuola del pci delle Frattocchie, ma non per essere un comunista convinto, giovane assessore comunale del Pci emiliano, in un territorio culla profonda del comunismo-comunismo dell’Emilia rossa.
Il suo clichè era quasi imbarazzante: aggressivo nei modi, con la dialettica e gli espedienti da intrattenitore politico di paese, confermava quanto l’apparenza denotava. Un fisico massiccio, una testa rotonda, rasata ma non perfettamente, due occhi glaciali, poteva sembrare un pilastro degli indimenticati servizi d’ordine dei cortei e degli scioperi anni 60/70 del 900.
Abbigliamento disarmante, vestito intero nero stazzonato, una camicia bisognosa di un ferro da stiro, slacciata, con il collo allo sbando, cravatta neppure supposta.
Se si avrà la pazienza di scorrere le immagini, si constaterà la sua insofferenza nel sentirmi affermare che il sistema cooperativo in Emilia e nelle regioni rosse era servito da cinghia di trasmissione per il partito comunista e da aggregatore di consensi.
Ma quello che fu visto prima e dopo lo spazio pubblicitario ( lí alle prese con il leghista Fedriga )fu niente rispetto alle contumelie e agli epiteti, ai propositi ‘ fascisti bisogna ancora farvela pagare’che occuparono l’intermezzo fuorionda.
Non mi impressionai, ma un altro forse avrebbe potuto .
Naturalmente fu uno scazzo di poco momento, rimasto fra quelle sedie .
Comunque niente a che vedere con il Bonaccini in Rayban, completo ad hoc, sorriso accattivante, barba da saggio di popolo. Quello che potete osservare oggi.
Tiro fuori questo ricordo non tanto per criticare il cambio immagine, inevitabile nel mondo del teatrino della politica.
Non posso dimenticare gli sfoghi dell’agenzia che curava le campagne elettorali che lamentava la quasi impossibilità di trovare un’immagine di Altero Matteoli in cui se proprio non rideva, almeno avesse accennato un mezzo sorriso.
Comprensibile la costruzione di un Bonaccini meno soviet, partitoski, più amabile e meno ruvido .
Allo stesso modo se Bonaccini segretario sarà rispondente alla figurina che gli hanno stampato addosso per il Pd sarà un guaio.
Per quel partito dovrebbe finire il tempo delle minestrine, dei ministri con mogli a traino, intellettuali e culturosi, gente da Parioli o da salotto chic.
Ci vorrebbe un ritorno al compagno Bonaccini, una sinistra da guerra, che i fascisti li menerebbe ancora e coi padroni ci parlerebbero a modo loro. Altro che ‘ i tavoli’ al ministero. Una sinistra con le palle, da Emilia rossa, vera, sanguigna, genuina.
Si potrebbe rinverdire qualche simpatia e Stefano Bonaccini potrebbe lasciarsi andare, essere naturale e senza finzione offrire la sua vera immagine di compagno segretario