Se la confusione fosse alta sotto il cielo del centrosinistra, la situazione sarebbe eccellente, per citare un vecchio e abusato motto di Mao Tse Tung, tornato però terribilmente attuale mentre Letta e Conte duettano (o duellano?) per dare un senso a un’alleanza che un senso non ce l’ha. Perché quella che appare, più di una semplice confusione è semmai un caos distruttivo in cui nessuno tiene in mano né una bussola né una lanterna per uscire dal labirinto. La dimostrazione più evidente è il rovesciamento dei ruoli fra il nuovo segretario del Pd e il leader grillino in pectore, che per inciso lunedì da Napoli ha consegnato alla storia un certificato di battesimo politico degno della peggior sceneggiata partenopea ma in perfetta linea con la democrazia eterodiretta del Movimento: “Io sono un cittadino in procinto di diventare leader dei Cinque Stelle, ovviamente se gli iscritti lo vorranno”.
Ma a parte queste note di colore, il dibattito andato in scena negli ultimi giorni a sinistra era inimmaginabile appena qualche mese fa: già, perché, a proposito di confusione, mentre Conte ora punta alla rappresentanza del ceto medio, Letta si affretta a precisare che il Pd invece ha un orizzonte molto diverso, e come dargli torto, visto che il suo ritorno da Parigi ha segnato una netta svolta a sinistra di stampo gauchista. Non solo: l’ex avvocato del popolo ha anche lanciato il guanto di sfida della vocazione maggioritaria che fu un tempo del Pd, mentre Letta sta discettando di coalizione larga con tutti dentro: riformisti, massimalisti e grillini. Categorie a cui dopo l’ultimo G7 vanno aggiunti anche gli atllantisti e gli antiatlantisti, e qui la quadratura del cerchio diventa ancora più ardua, perché la sinistra quando è stata al governo da sola è sempre implosa proprio sulla politica estera (chi ha buona memoria ricorda ad esempio il tormentone finito male ai tempi di Prodi sulla missione in Afghanistan)
Ora le ombre cinesi si proiettano inevitabilmente sulla credibilità internazionale della coalizione rossogialla in ricostruzione. Emblematico, in questo senso, è il documentario apparso su China Tv nel centenario del Pcc in cui D’Alema celebra “lo straordinario salto verso la modernità e il progresso” attribuendolo al “grande merito storico del comunismo”. Una rivendicazione che dimentica milioni di morti, il massacro di piazza Tienanmen e il brutale sfruttamento degli uiguri, ma nei cui confronti neppure una voce contraria si è levata dalla sinistra ortodossa. Ancora più inquietante l’attacco apparso sul blog di Beppe Grillo al G7 e ai valori dell’Occidente, con la difesa a spada tratta, invece, del regime di Pechino. Democrazia, uguaglianza, libertà di pensiero per l’Elevato sarebbero solo finzioni eterodirette dall’influenza del capitale privato sulla politica, per cui l’unica vera minaccia l’Occidente “ce l’ha in casa”. Siamo insomma di fronte alla riproposizione della più trita e pericolosa ideologia antioccidentale ereditata dai partigiani della pace, costola del Pci degli anni Cinquanta che imputava agli Stati Uniti tutte le colpe della Guerra Fredda. Un delirio condiviso da un folto stuolo di parlamentari grillini e accolto dall’assordante silenzio di Conte, con Di Maio costretto a far sapere che quelle di Grillo sono ormai posizioni personali che non coinvolgono politicamente il Movimento. Un po’ poco per chi ricopre il delicato incarico di ministro degli Esteri e che in un’intervista, peraltro, si è ben guardato dal rinnegare l’accordo sulla Via della Seta siglato due anni fa con la Cina, un gigante economico cresciuto infrangendo trattati e regole commerciali. Eppure non c’è alcun dubbio che quella sia una strada lastricata di trappole, col rischio di pericolose cessioni di sovranità dei nostri asset strategici.