Su gas e energia, il ministro economico del futuro governo di destra, fa suo un comandamento della Draghi Band, cioè il rifiuto di spendere un euro in più attingendo al debito pubblico.
Scelta confermata dalla leader del primo partito della coalizione.
In più propone di appellarsi a Draghi e alle sue relazioni internazionali per uscire dalle difficoltà energetiche.
La maggiore opposizione e probabile prossima maggioranza, si allinea con il pensiero governativo e non promette nulla di diverso da quello che l’attuale esecutivo faceva, fa e intende fare.
Alla base di questo atteggiamento c’è la scelta abbracciata dall’intero sistema di affidarsi alla postdemocrazia finanziarista e funzionariale.
Non si dichiara che la necessità primaria non è contenere il debito, ma salvare lavoro, imprese, produzione e garantire i cittadini e la sopravvivenza decorosa della comunità.
Nè si critica a fondo il rifiuto di Draghi di intervenire sull’abolizione dei balzelli su energia e carburanti.
Nonostante il clima elettorale foriero di promesse immaginifiche non si rinviene chi si allontani dai consueti appelli, privi di concretezza.
Nessuno coglie l’occasione per indicare un cambio di rotta, di strategia che offra la possibilità di uscirne.
Non è l’incompetenza, che pure la fa da padrona, a provocare questi silenzi.
Essi sono conseguenza del fatto che oggi TUTTI sono legati al medesimo carro.
Questa uniformità nel privilegiare il debito pubblico e le tesi di Draghi e c. a scapito tutto il resto ne è una prova conclusiva.
Prendere la via corretta dovrebbe essere non soltanto possibile, ma neppure troppo complicato.
Il Giappone ha il debito pubblico più alto del mondo, 7300 miliardi di euro( 350% del Pil)
Quello italiano è di due terzi inferiore (134%)
Secondo i comandamenti che ci governano l’economia giapponese dovrebbe essere in fondo al baratro.
Il Giappone è la terza economia mondiale, dopo i giganti USA e Cina.
Se uno ha un debito importante lo deve sostenere chiedendo prestiti.
Li può chiedere in famiglia e racimolare lí i denari necessari o può cercarli fuori presso estranei o istituti.
Nel primo caso avrà la certezza che comunque le uscite e le entrate resteranno ‘ in casa’.
Avrà anche l’aspettativa che nessuno in caso di difficoltà salterà addosso.
Se invece i denari sono reperiti ‘ fuori’, il patrimonio familiare si disperde e non c’è nessuna previsione di indulgenza.
Il Giappone si è fatto prestare i soldi in famiglia.
Il debito pubblico giapponese è sottoscritto per intero dai giapponesi e il suo costo rimane interno e si trasforma in reddito per i cittadini.
Puo’far tempesta, il Giappone e il suo debito sono al sicuro.
Il debito italiano per una sua parte -circa 1/3 -è fuori casa e altri possono gestirlo a nostro danno e come strumento di pressione politico e economico.
Il debito pubblico esterno mette il paese alla mercè dei cosidetti ‘mercati’ e nelle mani degli speculatori e della postdemocrazia tout court.
L’Italia è fra le prime al mondo per ricchezza privata.
Sarebbe sufficiente che un settimo di questo valore fosse impiegato dai risparmiatori in acquisto di titoli di debito pubblico anzichè nelle speculazioni quasi sempre suggerite dai broker o dagli istituti stessi.
Sarebbe necessaria una legge breve ma risolutiva, che da circa 9 anni giace negli archivi del Parlamento insieme ad un’altra analoga presentata dalla odierna maggior forza del cosiddetto centrodestra ( ironia del destino).
Semplificando, con essa si stabilisce che le banche di raccolta del risparmio non possono investire in titoli diversi che quelli portanti debito pubblico o azioni proprie.
Il regime esistente prima dell’invenzione dell’antesignano di Draghi, Guido Carli, della cosidetta ‘banca universale’.
Ben presto il debito tornerebbe tutto a casa, i cittadini avrebbero un aggio sicuro, il nostro denaro in mano alle banche non finirebbe nel gorgo della speculazione, ma soprattutto nessuno più imporrebbe nulla alla Nazione.
Ricetta non complessa, conosciuta quanto taciuta, salvifica per il paese, mortifera per i piani di criminalità politica finanziaria speculativa in atto.