L’onnipotenza dei Tar è ormai una sorta di Costituzione materiale che fa della giustizia amministrativa la massima istanza delle più svariate attività umane: dal sì all’ingresso della Open Arms carica di migranti nelle acque territoriali italiane (contro la decisione del governo) al blocco degli appalti che rischia di ostacolare il Pnrr, dalle decisioni difformi sulla sospensione dei sanitari no vax, fino alle promozioni nei campionati di calcio e, dulcis in fundo, anche alle bocciature scolastiche. Insomma: su ogni provvedimento di un ministero, di una Regione, di un’Asl o di un Comune incombe la spada di Damocle del Tar di turno, con quello del Lazio padrone di competenze pressoché universali in base al principio dell’uniformità di trattamento dei contenziosi a livello nazionale. Così politica, giustizia sportiva e autorità scolastiche finiscono costantemente sotto scacco. A proposito di scuola, ha destato grande scalpore la promozione per via amministrativa della studentessa di una scuola media di Tivoli che, avendo insufficienze in sei materie (circa la metà di quelle studiate!), avrebbe giustamente dovuto ripetere l’anno. Una decisione, quella del Tar, che è stata una plateale invasione di campo nei confronti del collegio dei docenti, assunta secondo il principio – già affermato dal Consiglio di Stato – secondo cui “la bocciatura deve essere un’eccezione e la promozione la regola”, e dunque la mancata ammissione non deve mai essere un provvedimento afflittivo, ma educativo, argomentazione che però annebbia il significato stesso di “educativo”. Più che un provvedimento amministrativo, infatti, sembra di essere davanti alla riproposizione del leggendario “sei minimo garantito” invocato dai sessantottini con la scusa che una scuola dequalificata non può permettersi di bocciare nessuno, ritenendo il diploma conseguito alla fine del corso una sorta di inutile carta straccia. Il danno inferto alla qualità del nostro sistema didattico da queste farneticazioni ideologiche è purtroppo sotto gli occhi di tutti, visto che ha portato a un progressivo impoverimento delle conoscenze basilari di tante generazioni di studenti. La sentenza del Tar va anche oltre, imputando alla scuola di Tivoli la responsabilità di non aver messo a disposizione della ragazzina adeguati “sistemi di ausilio e di supporto per il recupero” e di non aver tenuto conto dei progressi da lei ottenuti nel corso dell’anno. Questo è un precedente altamente diseducativo, perché significa che basta partire da un “due” e finire con un “quattro” per poter pretendere la promozione, e anche se non si raggiunge l’agognato “sei” si può evitare la bocciatura, in base a una valutazione del merito non più espressa in numeri ma sostituita da un concetto più vago derivato da un astruso metro pedagogico. Ma attenzione, siamo di fronte a una deriva non è casuale, che nasce dalla progressiva invadenza dei genitori nelle decisioni scolastiche attraverso i consigli di classe, gli organi collegiali in cui docenti, genitori e – nelle secondarie superiori – anche studenti pianificano e valutano costantemente l’azione educativa e didattica, attraverso una gestione simil-assembleare che in nome di un malinteso senso della democrazia ha di fatto svuotato le prerogative di insegnanti e dirigenti scolastici, costretti quotidianamente a fare i conti con le pretese invasive di troppe famiglie che, danneggiando lo stesso percorso formativo dei figli, contestano insufficienze e bocciature fino, appunto, a ricorrere ai Tar. Il governo Meloni ha cambiato nome al ministero dell’ Istruzione aggiungendovi il Merito, ma ora dovrebbe essere conseguente, varando norme in grado sia di porre un argine ai ricorsi amministrativi, sia di tutelare il corpo docente dalle incursioni, non di rado violente, di genitori irresponsabili. Una vera alleanza educativa non deve contrapporre scuola e famiglie, ma ristabilire l’ordine gerarchico è diventata un’urgenza nell’interesse soprattutto dei ragazzi.
Altrimenti i famosi test Invalsi, che ogni anno fotografano un’autentica galleria degli orrori, finiranno addirittura per peggiorare, avvalorando così la teoria sessantottina della “scuola dequalificata”.