Nell’ultima settimana c’è stata una serie di coincidenze tutte con lo stesso punto di caduta: la giustizia. Un anno fa, mentre la periclitante alleanza Pd-Cinque stelle si era arroccata in un fortilizio sempre più assediato al grido di “o Conte o morte”.
Fu una resistenza vana, e il premier-avvocato del popolo cadde perché l’allora ministro Bonafede non riuscì a presentare la relazione sulla giustizia alle Camere non potendo contare su una maggioranza certa al Senato.
Fu quello l’”incidente di Sarajevo” che fece precipitare una situazione già ampiamente compromessa inducendo Mattarella a conferire l’incarico a Draghi. Ma c’è una data ancora più significativa, in quanto a coincidenze, a dimostrare quanto la giustizia continui ad essere il convitato di pietra della politica: il 19 gennaio, ventiduesimo anniversario della morte di Bettino Craxi, è uscita la notizia di Beppe Grillo indagato per traffico di influenze illecite, una vera e propria nemesi storica – l’alfa e l’omega di una lunga stagione di deriva giudiziaria – che alla fine si è abbattuta sul tribuno che più di ogni altro ha saputo cavalcare l’onda giacobina, portando il suo Movimento sfascista alla conquista del potere.
La storia ha spesso risvolti beffardi, ed è paradossale che l’Elevato sia rimasto impigliato nella trappola di un reato evanescente, partorito da un Parlamento prono alla bestia antipolitica, e aggravato nelle conseguenze penali dalla furia autoritaria del Guardasigilli Bonafede, fedele allo spartito originario della ormai perduta purezza grillina.
C’è molto da riflettere sulla deriva di una grande democrazia che ha trattato alla stregua di un criminale uno dei suoi rari statisti, negandogli perfino di morire in patria, per poi affidare le sue sorti a un istrione che ha divelto di piazza in piazza le basi stesse della convivenza civile aizzando gli istinti primordiali del qualunquismo e riducendo la politica a un combattimento senza regole, in cui la politica era sterco del demonio e la competenza un disvalore. E’ stata un’illusione ottica di breve durata, e ora gli ex amici dei gilet gialli girano sulle autoblu con le grisaglie ministeriali, ma il danno politico, sociale ed economico è ormai fatto, ed ha effetti devastanti.
Solo parlare di Craxi e di Grillo nello stesso articolo fa rabbrividire, ma almeno serve per rimarcare la diversità tra un gigante della politica che i comunisti misero alla gogna e un Masaniello che il partito erede del Pci ha eletto invece ad alleato strategico. Questo la dice lunga sulla condizione di una sinistra che ha totalmente smarrito la vocazione riformista e si barcamena in un tatticismo senza leader e senza una prospettiva politica che non sia l’occupazione del potere.
La scomparsa di Craxi per via giudiziaria ha lasciato un’autentica voragine politica a sinistra: sulla necessità di modernizzare le istituzioni, come sui rischi dell’Europa di Maastricht e del rigore a senso unico, Craxi aveva visto lontano prima e meglio di tutti. Per questo la sua lezione resta attualissima, a partire dalla riforma della Repubblica in senso presidenziale, che gli costò l’epiteto di golpista, e non sarà certo la sinistra, ma il centrodestra, se ne avrà il coraggio e la forza, a dover realizzare quel sogno