C’è un manipolo di personaggi, radicati nel pubblico e nel semipubblico, che si vedono assegnati, da ogni governo, postazioni di prestigio senza che abbiano mai mostrato particolari qualità professionali, ancorché esibiscano titoli, qualifiche e prebende. Quanto fu concepito per il bene dei cittadini, in mano loro diviene instrumentum regni proprio e dei mandanti. Ottimi nelle relazioni, nelle protezioni, maestri di equilibrismo, nell’ingraziarsi i potenti del momento e nello scivolare via nell’attimo giusto per ritrovarsi a succhiare il nettare del fiore nuovo che sta sbocciando. Questi personaggi sono uno dei grandi problemi irrisolti d’Italia ed un esempio ce lo fornisce l’attualità. Chi rimane per 13 anni in sella all’appetita Agenzia di Stato “Invitalia”, sopravvivendo a 8 Governi, 7 Premier e altrettante maggioranze politiche, non può che stare ai vertici di questa schiera. Domenico Arcuri è andreottiano ed entra in IRI, negli anni ‘80. Cambiano vento e Repubblica (dalla prima alla seconda) e si fa prima prodiano, poi berlusconiano e dalemiano. Percorso comune a molti. Collabora con Università e influenti editori: l’epitome del Grand Commis di Stato. Nel recente, dopo una breve infatuazione per Di Maio, abbraccia Conte, che lo sceglie come Commissario Straordinario per l’Emergenza Coronavirus. La fittissima rete di relazioni e rapporti, che comprende anche personaggi discussi, lo soccorre sempre. Ad esempio quando decide di calmierare il prezzo delle mascherine o quando la trasmissione televisiva Report lo copre di vergogna, rendendo nota una sua missiva “riservata”, in cui chiedeva alla Dogana di Genova di lasciar passare una fornitura di tubi endotracheali diretta in Sudafrica, nonostante da più di un mese in tutta Italia venissero sequestrati tutti i beni sanitari in entrata o in uscita dal Paese, causa emergenza sanitaria. In altre epoche e per molto meno, sono stati fatti dimettere e sono stati esposti al pubblico ludibrio, fior fior di Ministri. Lui nulla. Nemmeno un graffio. Né titoli roboanti, né prime firme con penne al vetriolo. Nulla. Nemmeno le gaffes lo danneggiano, nonostante l’antologia recente sia notevole: da ”l’arrivo di respiratori dall’Unione Sovietica”, ai “liberisti da cocktail” per chi lo biasimava per il prezzo calmierato delle mascherine, peraltro fissato per decreto, senza conteggiare l’i.v.a. Poi è stata la volta dei farmacisti, macchiatisi di lesa maestà per averlo criticato“chi oggi afferma di non avere mascherine e di aver bisogno delle forniture del Commissario, fino a qualche settimana fa le aveva e le faceva pagare ben di più ai cittadini”. Una frase che, in tempi diversi, avrebbe costretto un rappresentante dello Stato a buttarsi al fiume. Ma Arcuri non si è neppure scusato. Non ha risolto praticamente nulla in questi 2 mesi, riuscendo in compenso a complicare le questioni. Dopo aver impacchettato quasi 10 milioni di tamponi da spedire alle Regioni, si è accorto di non avere i reagenti. È riuscito a riunire l’attuale quadro politico, così balcanizzato eppure concorde nel criticarlo, ma neppure questa impresa è stata sufficiente a disarcionarlo. A testimonianza della forza di questo grumo potente e resistente, di cui Arcuri è parte, che tanto occupa a suo uso e consumo, in spregio alla competenza, al valore e al doveroso cambiamento, agli interessi del paese.