Dopo il ballottaggio in un capoluogo, un sindaco non sciorinò trionfalismi, nè ringraziamenti uggiosi. Nè disse ‘sarò il sindaco di tutti’. Non si dilungò su valutazioni generali sugli schieramenti nè su lezioncine di ‘nuova politica’ che porta alla vittoria.
Il sindaco in questione dichiarò che lui in sostanza non aveva vinto proprio niente.
Fece osservare di non avere nessuna maggioranza reale a sostenerlo e che -certo non da solo- avrebbe cercato di capire come uscirne.
‘Mi ha votato un cittadino su cinque, il che significa che non soltanto 4 su 5 non mi sostengono, ma che circa 3 su 5 se ne fregano proprio e non vanno a votare. E non certo per colpa loro. ‘
Le cose stanno così un po’ ovunque. Le forze in campo glissano. Accennano una vaga contrarietà e borbottano auspíci.
Come se nulla fosse, si esulta per ‘ il successo ‘ del ‘ campo largo’, recente orrore del lessico politico.
Oppure si festeggia la sconfitta di una schieramento nazionale il quale a sua volta fa altrettanto e rivolta la frittata a suo pro.
Neppure il custode delle istituzioni esterna sulla debacle della democrazia rappresentativa che consente a un sindaco di governare con 8 elettori su 10 contrari al suo progetto.
Si è nel gorgo di un dissenso mimetizzato in disinteresse.
Nello stesso tempo si conferma che l’indebolimento della democrazia rappresentativa procede anche per l’inettitudine e l’inadeguatezza del personale politico.
Uscirne non sarà semplice, ma è sicuro che senza partiti non si arriverà a niente.
Ogni diverso percorso oltrechè incostituzionale, si è rilevato illusorio e portatore di danni maggiori.
I partiti come li abbiamo conosciuti si sono suicidati e credere nella loro resurrezione è cultura chierica che non appartiene alla maturità laica di chi sostiene la democrazia delle persone, dei doveri e dei diritti.
Le compagnie di ventura personalistiche che li hanno via via sostituiti hanno escluso qualsiasi progetto strategico.
Tutto è tattico, anzi alla giornata. Si naviga a vista.
Le ‘appartenenze’ si richiamano in caso di necessità estemporanea, sempre avendo cura di esagerare per marcare differenze che non ci sono.
La finzione è sovrana, poichè come viene autorevolmente ricordato”le appartenenze politiche non esistono più “.
La conclusione di questo pasticcio è, come scrive Aldo Cazzullo:
‘Pochi credono che la politica possa davvero cambiare le cose. Bezos ha più potere di Obama, Zuckerberg di Trump, Musk di Biden; o almeno questa è la percezione. ‘
Si è all’ affermazione della postdemocrazia che potrebbe condurre alla sconfitta individuale e collettiva, alla gregarizzazione, a un sistema meramente finanziario con il risultato di un mondo indifferenziato, avvilito, servile dove conterà solamente la propria sopravvivenza e gli interessi dei cerchi ristrettissimi.
Il recupero della politica e la necessaria organizzazione di forze intorno a appartenenze definite, in grado di compiere l’opera, avverrà se avverrà, attraverso formazioni e uomini che pongano al centro appartenenze reali, esistenti, naturali e sentite.
L’appartenenza più solida -che non a caso la postdemocrazia sta cercando di abbattere -è l’appartenenza di comunità.
Questo pilastro unificante e promotore di libertà personali e di esercizio democratico , potrebbe rappresentare il fulcro coagulante di nuovi partiti, deputati a riavviare il processo democratico e di riconquista di diritti e libertà.
Senza dimenticare che le idee si muovono sulle gambe degli uomini.
Gli uomini si facciano avanti con l’onestà e la trasparenza di quel sindaco che si rammentava all’inizio.
Diversamente, destino segnato