Il 9 maggio 1936, Mussolini “L’Italia ha finalmente il suo impero”.
Il momento massimo della popolarità del capo del fascismo, la resa rassegnata dell’antifascismo meno oltranzista, profluvio di iscrizioni al Partito.
In quello stesso momento inizia lo sfaldamento del regime, gli errori si accumulano, le carnevalate staraciane impazzano, come l’arroganza del sistema e dei quadri, il discredito comincia a serpeggiare, il dissenso anche interno a prendere corpo.
La fine è nota.
20 febbraio 1989, durante il congresso nazionale della d. c. viene siglato il cosidetto ‘patto del camper’, così soprannominato per essersi concluso in un camper, posto nel retro del Palazzo dei Congressi all’EUR, Roma.
Là si materializzò il C. A. F. ( Craxi, Andreotti, Forlani), il triumvirato che segnò la massima estensione del potere e del prestigio di Bettino Craxi.
Da quel momento incomincia il declino dell’astro socialista fino al lancio di monetine del 1992, appena 3 anni dopo.
25 aprile 2009 a Onna centro abruzzese devastato dal terremoto, già protagonista della Resistenza, Silvio Berlusconi tiene il discorso che lo consacra statista, uomo politico italiano di indiscusso peso specifico. Fu il punto più alto della parabola berlusconiana e l’inizio della discesa che lo porterà dalle stelle alle stalle nel giro di due anni.
Matteo Renzi che sembrava invincibile anche ai più attenti osservatori, ottiene il suo trionfo il 25 maggio 2014 alle elezioni europee : 41% e 11 milioni di voti al Pd di cui è segretario.
Acme dell’ascesa inizio della rovina.
A casa di fatto nel 2016, espulso dalla politica che conta.
Altro Matteo, Salvini, il 3 agosto del 2019 consacra la sua maggiore vittoria in un pomeriggio al Papeete Beach di Milano Marittima dinanzi alla consolle, proprio dietro a una cubista leopardata che con le mosse giuste balla l’inno nazianale di fronte a un enorme stuolo di bagnanti osannanti e filmanti.
La Lega ha appena conseguito il 34%, cioè 9 milioni e oltre di voti e guida la politica italiana.
Da lì si mette in moto il disfacimento fulminante, un errore dietro l’altro e via dal governo.
Alle successive elezioni perduti 7 milioni di voti, l’80%.
Oggi Salvini da capo è diventato coda della coalizione, mantenuto a pelo d’acqua grazie a opinabili operazioni e candidature discutibili.
8/9 giugno 2024 elezioni europee, Giorgia Meloni rinforza la sua conclamata leadership mettendo i soci di coalizione tre volte più indietro.
A seguito di una criticabile usanza di candidarsi non per essere eletti ma per misurare il consenso, ottiene 2 milioni e mezzo di preferenze.
Se è vero che gli altri 45 milioni e rotti di aventi diritto al voto non se la sono filata, tuttavia l’affermazione personale è notevole.
A questa si associa l’impegno principale che l’ha causata ‘ Giorgia cambia l ‘Europa’. Promessa indispensabile per accattivarsi battaglioni di elettori e che le consente di evitare i disastri elettorali della altre forze governanti in Europa.
In un susseguirsi senza respiro, un G7 di stampo holliwoodiano nel borgo artificiale e gradevole di Puglia consacra il raggiunto vertice internazionale
Adesso dovrebbe toccare a lei sfuggire alla maledizione del principio sperimentalmente consolidato da un secolo di politica nazionale del ‘su su giù giú’.
Le idee piuttosto codine che propugna dovrebbero presupporre la familiarità con il ‘ polvere sei, polvere tornerai’, e il ‘ sic transit gloria mundi’, come la conoscenza della provvisorietà degli stati di grazia.
Lo sapevano anche i Romani, i quali nella cerimonia del trionfo dei propri eroi riservavano uno spazio a chi li offendeva, li dileggiava onde non perdessero il contatto con la realtà.
La cosa che si può dire è che condizione necessaria anche se non sufficiente per la sua durata nello spazio degli unti risiede nella risposta coerente alle promesse formulate, non all’adeguamento allo status quo, sicuramente contrario a quelle promesse.
Meloni potrebbe contribuire al possibile cambiamento. Diversamente favorirebbe l’agonia, la cancellazione delle identità, delle idee e del buon senso che dovrebbero governare il paese e l’Europa.
E soprattutto metterebbe la parola fine alle aspettative suscitate.
Rimarrebbero irrisolti problemi sui quali per il vero, le idee della Meloni a molti appaiono sbagliate, immature, dilettantesche, frutto di errate conoscenze soprattutto in economia e geopolitica.
Ma rimarrebbe un pertugio, un sentiero da percorrere. Diversamente sappiamo già come andrà a finire. Anche per lei.