Quando tornerà nelle aule parlamentari Draghi dovrà guardarsi soprattutto dal fianco sinistro dell’emiciclo, perché l’intergruppo appena costituito tra Pd, Cinque Stelle e Leu è potenzialmente molto più insidioso del duo Renzi-Salvini, azionisti della nuova maggioranza con precedenti politici da rottamatore e da sfasciacarrozze. La nascita del subgoverno rossogiallo con l’obiettivo dichiarato di “contenere la destra” sembra infatti un raduno di nostalgici del Conte ter, oltre che una dichiarazione di guerra agli alleati nell’emergenza, in aperto contrasto con l’appello di Mattarella all’unità nazionale che ha fatto nascere il governo di salute pubblica. Allo spirito repubblicano evocato da Draghi, insomma, la sinistra ha contrapposto la rivendicazione identitaria di un settarismo massimalista in perfetta continuità con il contismo, e non a caso l’iniziativa è stata benedetta in tempo reale dall’avvocato del popolo, che il Pd a trazione Zingaretti-Bettini si ostina a considerare come insostituibile punto di riferimento dei cosiddetti progressisti.
L’asse grillo-piddino si è dunque premurato di marcare subito il proprio territorio identitario, innalzando i vecchi steccati ideologici e facendo così venire allo scoperto tutta la rabbia e il disagio covati per una soluzione vissuta in stato di costrizione. Sorprende che nel Pd le prime voci di dissenso si siano levate non da Base riformista, ma solo dall’outsider Orfini e dal vecchio Zanda, il quale ha laconicamente osservato che il coordinamento dovrà essere “molto stretto”, ma tra tutti i gruppi di maggioranza “perché se dopo il nostro intergruppo dovesse nascere anche un intergruppo tra Lega e Forza Italia, avremmo ottenuto proprio un bel successo!”.
In effetti, se la maggioranza chiamata a traghettare l’Italia fuori dall’emergenza diventasse davvero schiava della logica degli intergruppi contrapposti, significherebbe balcanizzare la navigazione del governo rimangiandosi in tempo reale l’impegno a fare un passo indietro in nome dell’interesse nazionale. Con i partiti arroccati nelle rispettive trincee, la coalizione spuria raccolta intorno a Draghi darebbe vita a una vera e propria guerra di posizione col rischio di far saltare in aria un equilibrio già molto precario. Con questa mossa il Pd, che si ritiene per diritto divino l’unico architrave della governabilità, ha dunque mostrato di pensare più alle prossime amministrative che al futuro del Paese. Un partito, insomma, preoccupato solo di non perdere centralità politica e quote di potere, e che invece di costruirsi un profilo autenticamente riformista ha scelto ancora una volta – lo fece già con Di Pietro – di attaccare il suo carro alla deriva populista nella speranza di tenersi tra un anno il Quirinale e tra due il governo della Repubblica. L’ennesima scommessa al ribasso, che passa per il grottesco tentativo di infiltrare nel governo Draghi la ridotta del subgoverno Conte.