Impegnati a scovare retroscena da rotocalco o a seguire la diatriba Beppe/Giuseppi, i commentatori si son fatti quasi scivolare via l’evento francese senza coglierne il profondo significato. Parlo delle elezioni regionali, dove la partecipazione al voto è stata di neppure il 30%. Cosa senza precedenti.
Si è visto per lo più qualche commento sullo scarso senso civico mostrato dai francesi.
Uno sguardo in più lo ha dato Polito in Corsera e sottolinea la gravità del fatto. Ma l’esamina in modo introflesso, come un’interna corporis della democrazia rappresentativa, scaduta a strumento inaffidabile, inefficace per le reiterate azioni dei movimenti populisti.
Vittima di un orizzonte ristretto vaticina una specie di riscossa dei vecchi partiti (l’usato sicuro) rispetto ai partiti personali, all’approssimazione di programmi e progetti privi di tradizioni radici prospettive.
Sul punto ritorna Galli della Loggia, con una visione un po’ ‘da pollaio’. Egli riconduce il tutto alla situazione italiana, forzando una conclusione a scapito della Meloni. Come se il flop di affluenza e dei movimenti populisti/sovranisti /estremisti fosse la prova che alla Meloni e alla sua opposizione abbisognasse una sorta di lavacro nell’antifascismo.
Diceva Pasolini che l’antifascismo sbandierato in ogni dove, ma rivolto al passato, serve al fascismo contemporaneo che ha ben altre forme per proliferare indisturbato. Ed è proprio su questo aspetto che l’episodio francese va letto e colto nelle sue dimensioni meno provinciali, riduttive, utilitaristiche.
Non è corretto richiamarsi a scarsa coscienza civile. La Francia, con i suoi limiti di grandeur, di potenza coloniale tuttora in esercizio e i suoi problemi interni, rimane maestra di coscienza civile, di sensibilità democratica, di coraggio istituzionale.
L’episodio francese rientra nello schema del percorso della postdemocrazia totalitaria e finanziarista.
Postdemocrazia che prima che in Italia con Draghi, ha avuto il suo successo ,anche elettorale ,nella Francia, con Macron.
Mentre in Italia si era alla fase di devastazione prevista dal combinato disposto populismo /sovranismo, inettitudine delle istituzioni, propedeutici alla postdemocrazia, in Francia quelle fasi erano state superate e ,inventato in tutta fretta un partito in provetta, la postdemocrazia aveva occupato Parigi con l’enfant prodige del burofinanziarismo Macron.
Oggi sembra che i francesi abbiano digerito il rospo: vi è la consapevolezza che la rappresentanza democratica di cui sono i genitori legittimi è stata superata e che oggi siano altri i luoghi delle catene di comando.
Essi sanno ormai che nel rapporto col Mondo di Sopra, la gestione degli affari e dei diritti passerà per altre strade che non l’Assemblea Nazionale e i parlamenti regionali. Anche se tutto rimarrà formalmente tale e quale.
Nè c’è alcun invito da cogliere nell’illusorio recupero dei partiti tradizionali, nè alcuna lezione antifascista da compitare. I partiti tradizionali non hanno recuperato niente. Hanno perduto in termini nominali a bocca di barile. Soltanto che una micro porzione di Francia ancora legata alla democrazia parlamentare è andata a votare e il piccolo in termini reali è diventato percentualmente importante.
E l’unica lezione antifascista da prendere in considerazione non è bombardare le macerie politiche della cripta di Mussolini, ma predisporre difese contro le armi ultramoderne della postdemocrazia burofinanziaria. Quella che in apparenza lascia tutto com’è, ma poi governa da altrove in guisa totalitaria, volendo tenere i cittadini il piu’ lontano possibile dai passaggi democratici e decisori.