Per capire l’attuale crisi di governo basta aprire il vocabolario e leggere il significato di due sostantivi: strategia e tattica. Mentre la strategia è un piano di lungo termine, usato per impostare e coordinare azioni tese al raggiungimento di uno scopo o di un obiettivo predeterminato, la tattica è il metodo utilizzato per conseguire tale obiettivo. Premesso ciò, appare evidente come nella crisi politica che si sta consumando in queste settimane e che rasenta (se non l’ha già superato) lo psicodramma, nessuna delle parti in commedia abbia, non solo in questo momento, ma da tempo, né l’idea di una tattica da spendere nell’immediato, né una benchè minima strategia di lungo respiro. Tranne, forse, il Quirinale e su questo punto torneremo alla fine. Uno dei governi più sconclusionati della storia ha avuto il merito, tra i pochi, di mettere in evidenza tutte le contraddizioni della classe poilitica italiana. Il re è nudo e per farlo capire anche ai non addetti ai lavori c’è voluto un leader di partito, ormai ridotto all’ombra di se stesso e a percentuali omeopatiche, che da anni tira a sorte le mosse strategiche e tattiche come i numeri della tombola la notte di Capodanno. Quel Renzi che sembrava destinato al ruolo di senatore, comprimario tra i comprimari, ma che con l’impeto di chi tanto ormai non ha nulla da perdere, anziché uscire dal tavolo verde, vi ha rovesciato sopra tutto quanto aveva in tasca aspettando che qualcuno rilanciasse. Rilancio che non vi è stato e la mossa ha fatto il rumore di un petardo tirato in mezzo alla navata di una chiesa. Si è sempre detto che un politico si vede dalla capacità di rialzarsi dopo essere finito a terra, come nel pugilato: non so se questo valga anche per Matteo Renzi, fatto sta che è uscito dal cul de sac in cui era finito e ha rimesso la palla al centro, di nuovo sullo 0-0. Nel grande baillamme che stiamo vivendo occorre mettere ora alcuni punti fermi. Mentre Conte latita in un silenzio assordante tra la paura di riprendere in mano una maggioranza raccogliticcia e andare di nuovo a sbattere alla seconda curva (seppur nella veste del Conte-ter) e la paura di tornare a insegnare diritto privato alla facoltà di giurisprudenza di Firenze, la vera riflessione da fare è sulle parole dette dal centrodestra all’uscita dalle consultazioni. La delegazione prima ha parlato di elezioni subito, poi si è messa a disposizione per una fase di transizione per votare a luglio, poi ancora ha valutato un governo del Presidente con una figura di alto respiro internazionale. Come se lo sfacelo del governo Monti non fosse bastato nell’imperdonabile convinzione che la cattiva politica si possa cambiare solo facendo largo ai tecnici anziché ai buoni politici. Come andrà a finire? Non lo so. Ma temo che, utilizzando una frase celeberrima di Mao (“grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è favorevole”), i litigi e un quadro politico inestricabile, daranno il pretesto per un arbitro voluto dal Quirinale, benedetto dalla Chiesa, dall’Europa e da gran parte del centrodestra che non vuole andare a votare. Sarebbe il compimento di un disegno nato decenni fa e ora facilmente realizzabile grazie all’inconcludenza delle forze politiche in campo. Una partita a cui ha fatto gioco il M5S ormai palesemente, come da sempre dicono gli osservatori più acuti, un movimento antisistema creato a tavolino e inserito nel sistema per riempire quel vuoto che la politica non conosce.