Prevista nell’ordinamento nazionale dal 2009 ma realizzata solo una volta nel 2017, la Legge annuale per la concorrenza è tra le riforme abilitanti del Recovery Plan – ossia quelle destinate a spianare la strada al Pnrr – ma contiene una serie di misure talmente divisive da aver già fatto slittare il cronoprogramma da luglio a settembre. Il disegno di legge annunciato da Draghi andrà ad incidere su settori strategici come le reti digitali, l’energia e i porti, ma l’ostacolo politico che appare più ostico da superare è il disboscamento del socialismo municipale che è diventato nei decenni un poltronificio clientelare e a cui quindi i partiti – soprattutto a sinistra – difficilmente rinunceranno senza colpo ferire. Il Pnrr prevede drastiche limitazioni per il ricorso all’in-house e alle società partecipate anche nel trasporto pubblico locale.
Ma nel frattempo il Parlamento a luglio ha approvato lo stop all’obbligo di liquidazione delle partecipate pubbliche che hanno fatto registrare quattro anni di bilanci in rosso nell’ultimo quinquennio, derogando così alle disposizioni della riforma Madia. La liquidazione delle municipalizzate quindi non scatterà “qualora il recupero dell’equilibrio economico delle attività svolte sia comprovato da un idoneo piano di risanamento aziendale”.
Ma quante sono le partecipate in rosso? Una stima ufficiale del 2014 parlava di almeno 1500 aziende controllate dagli enti locali con i bilanci in deficit. Dall’ultimo rapporto Istat emerge che le società partecipate pubbliche attive sono 6.085, operanti nel settore dell’industria e dei servizi, con un totale di 887.059 addetti. Le sole partecipate locali sono 4.240. Ebbene, su un totale di 32.427 partecipazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche, 18.124 (circa il 56 per cento) sono risultate non conformi a quanto disposto dal Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, e nonostante questo il 46 per cento degli enti coinvolti ha espresso la volontà di mantenere la partecipazione senza prevedere alcun intervento di razionalizzazione. Le società in rosso sono il 34 per cento del totale e le loro perdite complessive si attestano a 1,1 miliardi euro. Il paradosso, segnalato dalla documentazione parlamentare della Camera, è che esistono “società in utile per le quali le amministrazioni hanno dichiarato la volontà di attuare interventi di razionalizzazione, e, di converso, numerose amministrazioni partecipanti in società in perdita che hanno espresso la volontà di mantenere la partecipazione”. La giustificazione è sempre la stessa: il fatto di erogare servizi di interesse generale, ma in troppi casi le società in house servono a gestire senza gare pubbliche i servizi degli enti locali. Quindi l’obiettivo del Pnrr di obbligare gli enti a mettere a gara i servizi, dall’acqua al gas ai trasporti, è destinato a incontrare sacche di resistenza non indifferenti, anche perché secondo le stime di Bankitalia nel 2018 gli occupati nelle partecipate pubbliche erano oltre un milione, pari al 5,1 per cento dell’occupazione complessiva. Ma un intervento col bisturi non è più rinviabile, per porre fine ai casi limite di centinaia di società doppione, con più amministratori che dipendenti o di altre in cui non figura neppure un addetto, o di quelle addirittura fantasma, di cui non sono disponibili né bilanci né scopi.