Nordio sembra determinato a portare avanti la riforma della giustizia seguendo alla lettera il programma di governo, anche se ha deciso di procedere gradualmente, presentando un pacchetto di norme che è solo l’inizio di un percorso. Il testo si limita infatti a cancellare l’abuso d’ufficio, a stringere le maglie sulle intercettazioni, a frenare le misure cautelari, e interviene sul traffico di influenze. Ma è bastato questo timido approccio garantista per scatenare l’inferno, tanto che la premier è stata costretta a promettere a Mattarella modifiche in Parlamento. Si può già parlare, dunque, di una falsa partenza, perché allo scontato no pregiudiziale di opposizione ed Anm si sono aggiunti anche i mugugni di una parte della maggioranza che ha preso apertamente le distanze dal Guardasigilli, finito sotto accusa per le sue esternazioni da giurista più che da ministro. I casi Delmastro e Santanchè, oltre alla vicenda che coinvolge il figlio di La Russa, hanno poi versato altra benzina sul fuoco, e in questo clima si annuncia in Parlamento uno scontro tutto ideologico, secondo le peggiori tradizioni delle passate legislature.
Bisogna dirlo chiaro: questa riforma dovrebbe essere difesa da tutto il centrodestra, per mantenere un impegno solenne preso con gli elettori, ma la sensazione è che Nordio sia invece vissuto quasi come un corpo estraneo, tanto che sembra già politicamente ridotto a un San Sebastiano trafitto dalle lance (un ex pm gli ha dato perfino dell’incompetente) e, presto, a un’anatra zoppa. Di questo passo, però, il centrodestra rischia l’ennesimo fallimento sulla giustizia, e i segnali ci sono purtroppo tutti: l’intervento felpato del Quirinale, che prima ha convocato i vertici della magistratura e poi la premier, aveva lo scopo di mettere la sordina alle polemiche, ma la sua moral suasion è servito anche a far riscrivere la riforma, con la segnalazione di alcune criticità che cozzano con trattati internazionali di rilevanza costituzionale, in particolare sull’abolizione dell’abuso di ufficio e del traffico di influenze. Eppure si tratta di due reati sui quali si discute da anni per la loro indeterminatezza che lascia campo libero alle incursioni giudiziarie, e non a caso i sindaci di ogni colore politico sono favorevoli alla cancellazione.