Ci risiamo: il Consiglio Ue degli Affari Interni ha annunciato l’ennesima “svolta storica” sulla gestione dei migranti, riempiendosi la bocca di due parolone – solidarietà e responsabilità – dietro levquali la Commissione europea ha più volte mascherato la propria incapacità di imporre una politica comune di asilo. E’ più che legittimo dunque accogliere con un disincantato scetticismo questo finto solenne accordo sul patto per le migrazioni, tenendo conto dei precedenti che hanno tutti visto totalmente disattesi gli impegni assunti nei confronti dei Paesi di primo approdo.
Il piano europeo di relocation adottato nel 2015 come segno di solidarietà verso Italia e Grecia per gestire la crisi dei migranti, fu ad esempio un totale fallimento, tanto che non passò nemmeno il testo di mediazione che prevedeva, al posto di una relocation obbligatoria, almeno un sostegno economico da parte degli Stati inadempienti. Poi il Patto di Malta, anch’esso salutato come un evento “storico”, non partorì alcun meccanismo automatico di redistribuzione, ma un ricollocamento solo temporaneo, gestito caso per caso e soprattutto ancora su base volontaria, riguardando peraltro solo i richiedenti asilo ma non i migranti economici, che sono l’85 per cento degli arrivi.
Risultato: un altro flop, mentre la riforma di Schengen – che ora ha avuto un sostanziale via libera – rischia di peggiorare ulteriormente le cose, perché inserisce i cosiddetti movimenti secondari tra i motivi per cui uno Stato membro è autorizzato a reintrodurre i controlli alle frontiere interne. Una clausola, questa, fortemente voluta da Macron, ma che confligge apertamente con i nostri interessi, perché favorirà il rimpatrio nel nostro Paese dei migranti irregolari passati oltrefrontiera.
L’accordo siglato questa settimana a Lussemburgo rischia quindi di essere solo un’altra foglia di fico che non porterà alcun sollievo ai Paesi mediterranei. L’unica novità positiva rispetto a Malta è la concessione di estendere la relocation a tutti i migranti salvati in mare, e non solo ai richiedenti asilo, ma è un’apertura solo illusoria, perché il previsto rafforzamento della banca dati Eurodac per lo screening al momento degli sbarchi rappresenta di fatto un’altra premessa per riportare nei Paesi di primo ingresso i migranti che passano il confine.
Altro che solidarietà obbligatoria: i ricollocamenti restano esclusivamente su base volontaria, visto che il Patto prevede numerose scappatoie, come l’alternativa degli aiuti logistici e finanziari, o la facoltà di ridurre il livello di solidarietà in caso di non funzionamento del regolamento di Dublino. E’ proprio Dublino il retaggio anacronistico, ma di fatto irriformabile, che impedisce un’equa redistribuzione dei migranti, e finché non verrà definitivamente superato l’Italia è destinata a restare in perenne emergenza, mentre i Paesi che rifiutano la loro quota di migranti potranno cavarsela concedendoci una sorta di simbolico risarcimento economico. Non c’è nulla di “storico”, dunque, nel Patto di Lussemburgo, e se la crisi del grano farà impennare le partenze dall’Africa rischiamo ancora di diventare il campo profughi d’Europa.