di Alberto Luppichini
Sull’attenti, arriva il generale! Già l’omosessualità è una malattia? La guerra è necessariamente il male assoluto o a volte un mezzo coercitivo migliore di qualsivoglia diplomazia? Siamo sicuri che Zelensky sia un modello da imitare? Il pacifismo duro e puro davvero può sconfiggere i duri e puri che imbracciano i kalashnikov? “
Le domande non lo emozionano nè lo fanno vacillare.
Grazie alle sue opere, ha scoperto un nuovo pezzo di Paese: quello mondano. Interviste, ospitate, inviti a cena, presentazioni. Una fetta di paese più ospitale e caldo della fredda divisa. Già, la divisa. D’accordo, l’uniforme incarna uno stile di vita, uno nucleo di valori, una missione da compiere con onore. La normalità, tuttavia, è un’altra cosa. Dismesso il rigido vestiario, il Vannacci pontifica in camicia. Alto quanto basta da apparire autorevole, petto villoso come i patriarchi, indossa completi blu un po’ fuori tempo, con i pantaloni lievemente larghi e le giacche lievemente lunghe, così da apparire rassicurante ai propri elettori. Di certo aiuta il viso bonario un po’da prete di provincia, le fossette dolci attorno agli occhi e un fare ponderato ed ecumenico. Vannacci non gesticola fuori, è arroventato dentro.
Brucia dall’ardore di rivelare il suo vangelo. Lo si vede in ogni suo intervento, secondo un canovaccio ripetitivo ma efficace. Con risolutezza risponde alle domande. Con risolutezza chiede la gentilezza di concludere le proprie argomentazioni. E con la medesima risolutezza smentisce, si rifiuta di condividere, infine respinge al mittente. Con tenacia, sul ciglio dell’ira, prega i presenti di non operare “ricostruzioni palesemente false e destituite di ogni fondamento” circa la sua persona e di evitare di “elaborare gossip fasulli” sulla sua vita precedente. A ben vedere Vannacci è ‘uno di noi’: lotta, sbraita, si difende, difende le sue idee e prova a farsi amare.
Qualche mese fa girava una domanda: ‘se davvero accettasse il corteggiamento di qualche capo-bastone del teatrino politico?’. Vannacci, al tempo, smentiva. Ma come è uso nel consueto gioco delle parti, smentita la smentita starà ingurgitando, compiaciuto, l’aria frizzantina della notorietà. Uomo al servizio dello Stato in uniforme oggi è al servizio dei cittadini, in borghese. Nell’Italia democratica i militare riciclati in politica non hanno brillato. Ubbidire e farsi ubbidire da generale è diverso che farlo da rappresentante del popolo. Con gli elettori serve veemenza e determinazione, ma anche fascino e al bisogno l’elmetto.Poi tutto l’armamentario da guerra di trincea: la pazienza, trattative sino allo sfinimento, l’attacco quando serve, la prudenza con gli alleati, la furbizia con gli avversari, la polemica feroce, la ubris necessaria a farsi valere.
E poi, non da ultimo, il nostro dovrà capire gli italiani. È a loro che d’ora in avanti dovrà rispondere. A quel popolo anarchico, irriconoscente, predatore e cinico. Per giunta umorale, molto umorale. Ben più di un membro di una catena di comando o della bassa forza.Assai più feroce. Capace, in odor di tradimento, a sgranare i denti come una bestia feroce.
Caro generale, occhio alla penna : mantenere è difficile.Rivoltare un mondo al contrario e non è detto dalla parte giusta, ancora di più. Qui non si tratta di rimettersi,male che vada l’uniforme, ma di rimettersi semmai una faccia nuova e viaggiare in incognito per evitare qualche sputo e il disonore. Forse l’armamentario da scrivania era più sopportabile. Ci tenga informati. Auguri.