In uno scambio di messaggi, un amico mi contesta le critiche al governo in carica.
Egli per primo ne riconosce i limiti, pur valutandolo un orbo in un mondo di ciechi. Ma in assenza di un’alternativa migliore, egli mi dice sarebbe saggio far buon viso a cattivo gioco pur rimanendo lungi dall’adesione.
Nella convinzione di seguire la saggezza del detto il meglio è nemico del bene, si pensa
che il governo in carica, sia il bene. Non è cosí.
Non si tratta di bene e meglio ma di meno peggio.
Di meno peggio in meno peggio ci si è ritrovati con il peggio del peggio.
Un governo, dentro le logiche globaliste, nordatlantiche, postdemocratiche, gregarie è il peggio del peggio.
Rappresenta l’opportunità di cambiamento perduta, la consegna di una comunità all’effetto placebo.
Confortano questo ragionamento i comportamenti relativi ai sommovimenti in RAI e le conseguenti lamentazioni da un lato e le espressioni di giubilo dall’altro.
Il dibattito destra-sinistra si esercita su queste questioni secondarie, esaltate come centrali.
Il perchè integra le osservazioni sul peggio del peggio
Il centro del ragionamento è quanto oggi vi sia di comune e sovrapponibile nei punti strategici fra destra e sinistra.
Politica estera, alleanze internazionali, rapporti NATO, guerra in Ucraina, relazioni con U. S. A. , Cina, Federazione russa.
Unione Europea, politiche economiche, bancarie, finanziarie, dalla misurazione della crescita mediante il Pil, all’accettazione del PNRR e del metodo dei bonus, alla contabilità virtuale del bilancio dello stato.
In questi temi che sono la base e la polpa di un progetto politico, destra e sinistra sono sovrapponibili e orientate verso l’affermazione della postdemocrazia. Schlein vale Meloni.
Sarebbe un atto di chiarezza politica che tali forze convergessero in un unico movimento, che potrebbe chiamarsi senza scandalo e a ragion veduta P. P. U. (partito postdemocratico unito) .
Nè sarebbe straordinario o eccezionale se all’interno di quel movimento basato su un progetto comune, vi fossero una destra e una sinistra e divisioni di correnti sui principî etici, sul quantum dei bonus e altri particolari pur significativi ma di minor spessore di quanto per esempio potessero aver diviso temporibus illis una destra da una sinistra dc, o nel psi gli amici di De Martino o Lombardi da quelli di Craxi o nel Pci Berlinguer e Cossutta.
Le posizioni di destra e sinistra pur esistenti, fanno da contorno alla divisione di fondo.
Oggi la divaricazione clou è fra postdemocrazia finanziarista, funzionariale,
globalista sostenuta dai partiti postdemocratici e quanti tutelano realmente la comunità, l’economia diffusa, i diritti sociali, la democrazia funzionale.
L’asset postdemocratico racchiude tutti i partiti presenti in parlamento, con in testa Fdi e Pd.
Fuori da questa intesa di fatto esiste nel paese un quarto stato informe, forse maggioritario, non organizzato nè rappresentato di cui fa parte anche quel segmento che, pur avendo storie non distanti dai governanti, ne sono i critici,
apparentemente prossimi, in realtà lontanissimi.
Se vi capitasse di salire via terra da Aqaba verso il Mar Morto, traversereste il deserto del Negev su di una strada giordana che dista poche decine di metri dalla sua parallela in terra israeliana. Le due arterie sono separate da una rete invalicabile.
Vicine ma lontanissime e reciprocamente irraggiungibili: una che si snoda fra giardini e campi verdi, l’altra che procede in un deserto pietroso e polveroso. Pochi metri, due mondi.
Le due strade topograficamente
prossime sono distanti, come distante è il governo Meloni dalle idee di chi lo critica e che in apparenza sembrerebbe vicino.
Nella realtà c’è una distanza siderale, un’estraneità totale, percorsi futuri in territori diversi, espressioni di civiltà diverse e mete diverse.
È l’eterna divisione che Giuseppe Prezzolini ha reso lapidaria fra fessi e furbi ‘ I fessi hanno dei principî. I furbi soltanto dei fini’.
Certuni stanno fra i fessi, gli altri altrove con Meloni e Schlein.