di Marco Valle
Mentre in Italia Giorgia Meloni e Matteo Salvini (convintamente la prima, un po’ meno il secondo) hanno abbracciato la causa delle sanzioni contro la Russia e acconsentito all’invio d’armi all’Ucraina, in Francia Marine Le Pen mantiene intatte tutte le sue perplessità sul conflitto.
Una scelta per il momento giocata su toni morbidi e non divisivi ma comunque chiara. La signora, molto attenta agli umori dell’elettorato, sa bene che soltanto il 45 per cento dei francesi, sempre più preoccupati, condivide l’atteggiamento rigido dell’Unione Europea di fronte all’invasione e ancor meno cittadini (il 40% secondo una recente indagine di Elabe) sono favorevoli alle sanzioni. Percentuali che salgono vertiginosamente nell’elettorato del Rassemblement National: due terzi dei simpatizzanti sono nettamente contrari al sostegno militare e finanziario al governo di Kiev. Numeri che inevitabilmente aumenteranno man mano che nel primo inverno di guerra la prevista “tempesta perfetta” — inflazione più crisi energetica — abbasserà le temperature dei termosifoni e taglierà risparmi e stipendi.
Da qui la prudente ma inequivocabile linea critica di Marine. Pur denunciando la “visione imperiale” di Putin e condannando l’aggressione di Mosca oltre che i referendum del Donbass, la leader del RN non cessa di accusare “il pericoloso bellicismo” dell’Unione Europe e ribadisce puntualmente che le sanzioni danneggiano più i francesi che i russi. Altrettanto negativa è la sua posizione sulle forniture d’armi pesanti e la collaborazione militare con l’esercito ucraino. Per Le Pen l’interventismo — sebbene intermittente e a tratti titubante — del presidente Macron ha costretto la Francia ad una non dichiarata cobelligeranza. Con tanti rischi e nessun vantaggio.
Per l’eurodeputato Jean-Lin Lacapelle, portavoce del partito, la situazione è chiara: «Siamo in guerra contro la Russia. Il responsabile di questa guerra è Vladimir Putin, non c’è dubbio. Ma c’è anche una responsabilità politica da parte dell’Unione Europea incapace di garantire il rispetto degli accordi di Minsk. Questo conflitto poteva essere evitato. Colpire gli oligarchi, il potere è giusto ma, intanto, Putin dopo le sanzioni del 2014 si è organizzato. I russi non hanno più bisogno di noi, il rublo regge, la collaborazione con Cina si rafforza e insieme si stanno prendendo l’Africa». Più netto ancora Thierry Mariani, ex ministro dei Trasporti con Sarkozy e poi passato nel 2019 con il RN, che ha ripetutamente denunciato l’“incredibile conformismo russofobico dei media” irridendo alle forzature propagandistiche ucraine e statunitensi su una ipotetica vittoria su Mosca.
In questa prospettiva, al netto delle insofferenze più o meno celate verso Bruxelles e Washington (un’eredità della grandeur gaullista…), i lepenisti continuano a muoversi con estrema cautela. Rimane in loro il giustificato timore di restare — nonostante la forte rappresentanza parlamentare — nuovamente isolati e d’essere demonizzati come il “partito putiniano” di Francia. Sullo sfondo rimangono poi i sei milioni di euro che l’RN deve ancora restituire alla First Czech-Russian Bank per chiudere il prestito ottenuto a prezzi di favore per la campagna presidenziale del 2014. Fu una scelta obbligata poiché all’epoca nessun istituto francese voleva far credito a Marine le Pen ma negli anni l’operazione si è trasformata in una fastidiosa spada di Damocle sulle sorti dei destristi transalpini. Non a caso in ogni dibattito gli avversari ricordano con petulanza e insistenza alla signora e ai suoi dirigenti che la banca era un’emanazione finanziaria di Gazprom…
Dunque meglio lasciar perdere la questione russa e attendere il “generale inverno” con gli attesi sconquassi sociali. Sarà quello il momento in cui Marine Le Pen potrà porre il problema delle sanzioni e degli aiuti militari al centro del dibattito politico agganciandolo con il disagio crescente delle fasce più deboli della popolazione. Quel pezzo di Francia che non vuole svenarsi per la remota Kiev o soffrire per un’Europa che sente matrigna.
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