Il grande Curzio Malaparte, in “Due anni di battibecco 1953-’55”, scrisse che “vi sono due modi di amare il proprio Paese: quello di dir la verità apertamente, senza paura, sui mali, sulle miserie, sulle vergogne di cui soffriamo, e quello di nascondere la realtà sotto il mantello dell’ipocrisia, negando piaghe, miserie e vergogne, anzi esaltandole come virtù nazionali. Tra i due modi, preferisco il primo. Non solo perché a me sembra il giusto, ma perché la peggior forma di amor patrio è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, e di spalancare la bocca in inni e in ipocriti elogi, che a nulla servono, neppure a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali”. L’estrema attualità di questo passo del libro è dimostrata da quanto sta accadendo in Russia e in Occidente dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. “La storia la scrivono i vincitori”, aforisma attribuito a Hermann Goring, ha un solido fondamento di verità, anche se a volte è stato utilizzato per alimentare le tesi negazioniste, ma l’esperienza insegna che da sempre la storia viene perlopiù interpretata in funzione dei propri valori, col revisionismo come arma per giustificare le ideologie e attrarre (o manipolare) il consenso popolare. Ebbene, oggi assistiamo a un evidente paradosso: mentre a Mosca e a Pechino Putin e Xi Jinping riscrivono i manuali scolastici per istillare nuove massicce dosi di nazionalismo nei loro Paesi e gettare fango sulla storia dell’Occidente (postura tipica dei regimi autoritari, visto che la menzogna è il tratto distintivo del proprio dna); sull’altro fronte si registra invece il fenomeno inverso: invece di difendere i propri valori e la propria civiltà, è in corso un vero e proprio processo alla propria storia, ritenuta degna solo di una dura condanna etica per il suo passato coloniale e per il piglio razzista con cui avrebbe sottomesso e discriminato per secoli il resto del mondo.
Il virus della cancel culture che ha nelle università americane “progressiste” il suo laboratorio ideologico si è propagato anche in Europa coinvolgendo non solo i cosiddetti pensatoi illuminati, ma anche lo sport, dove prima di ogni evento i giocatori occidentali si inginocchiavano in un grottesco rito di conformismo peloso, e chi non lo faceva veniva messo all’indice. Eppure il sistema delle democrazie liberali è a tutti gli effetti il frutto migliore della convivenza umana. Diciamolo meglio: quella occidentale è una civiltà caratterizzata da valori i principi che tutelano in ugual modo i diritti dell’uomo e della donna, che tengono distinti Stato e religione, in cui vige la separazione dei poteri e la parola libertà è la prima del vocabolario. Certo, le liberaldemocrazie si sono dichiarate guerra, hanno covato in seno fascismo, nazismo e comunismo, ma alla fine hanno vinto la sfida con i totalitarismi del Novecento, e l’auto-colpevolizzazione in atto, mentre è iniziata una nuova e terribile sfida geopolitica di cui l’Ucraina è l’epicentro nel cuore d’Europa, rappresenta un clamoroso autodafè politico e culturale, perché demolire il nostro passato significa cancellare con un colpo di spugna anche i grandi meriti della democrazia e portare acqua al mulino degli autocrati, abilissimi a sfruttare i nostri utili idioti.
Questo accade mentre a Mosca i manuali scolastici sono stati appena riscritti per esaltare il neoimperialismo di Putin e giustificare l’operazione speciale contro Kiev. Un revisionismo di regime, insomma, che esalta le ambizioni e le teorie dell’ultimo “zar” del Cremlino, come la menzogna dell’“unità storica di russi e ucraini” e della matrice nazista che ispirerebbe il governo dell’ebreo Zelenzky. Le nuove generazioni russe studieranno dunque su libri di testo secondo cui l’Ucraina è uno Stato “nazionalista, in cui ogni riferimento alla cultura russa è persegu…