La Vocina è stata off line per oltre una settimana. Un black out iniziato con un attacco hacker di origine sconosciuta, che ha disastrato il database. I migliori tecnici informatici hanno impiegato molto tempo per ricostruire tutto. Adesso siamo ripartiti. Val la pena citare un uomo per bene: “Da dove eravamo rimasti…”
Modificare la legge elettorale per uscire da questo “bipolarismo bastardo” (copyright Brunetta) è una tentazione che sta prendendo corpo in modo sempre più prepotente sulla spinta delle contraddizioni che la guerra ha sparso come sale sulle ferite politiche di centrosinistra e centrodestra. La spinta per il ritorno al proporzionale nasce dalle oggettive difficoltà delle due coalizioni, che in questa legislatura si sono una frastagliata nel sostegno ai governi, e l’altra nata da un’operazione di Palazzo con l’unica bussola politica di fermare Salvini sulla strada del voto anticipato. Un quadro che ha raggiunto il culmine della confusione nella settimana convulsa del voto sul Quirinale. Ma è possibile che il bipolarismo sia diventato la causa di tutti i mali della politica, e quindi un ferrovecchio ormai inservibile? E se questo è vero, di chi è la responsabilità? L’indice va puntato soprattutto contro la sinistra, che l’ha sempre usato come un’arma da brandire contro il centrodestra brutto, sporco e cattivo, delegittimato a governare il Paese, secondo la radicata convinzione che quando la sinistra non è al potere la democrazia è in pericolo. Eppure, il bipolarismo fu salutato come una conquista della democrazia italiana dopo gli anni della Guerra Fredda e della conventio ad excludendum, ed è un modo di vivere la politica entrato ormai nel comune sentire dei cittadini. Basti pensare che anche nel momento di maggior consenso grillino, a livello locale – tranne rare eccezioni – le sfide di sindaci e governatori hanno sempre riproposto lo schema centrodestra-centrosinistra, rimasto dunque fortemente radicato nel Paese.
Prima di ripristinare ufficialmente il sistema per cui il popolo elegge il Parlamento, ma poi sono le segreterie di partito a scegliere i governi, occorrerebbe allora fare un’attenta riflessione anche dal punto di vista storico: il bipolarismo nato sotto l’impulso della discesa in campo di Berlusconi portò, per la prima volta dall’unificazione d’Italia, all’alternanza di governo per effetto di un voto popolare. Una piccola ma benefica rivoluzione che magari non ha dato tutti i frutti sperati, ma non c’è alcuna certezza che la controriforma sia automaticamente una garanzia di buongoverno. Il proporzionale è visto come uno strumento per depotenziare le spinte populiste, ma l’esperienza insegna che è illusorio affidare solo a uno strumento tecnico come le leggi elettorali il compito di correggere dinamiche ed errori della politica. Anche il bipolarismo, del resto – e questo vale per tutte le democrazie – funziona meglio quando i due poli convergono al centro, non demonizzando gli avversari e dialogando sulle grandi questioni di politica estera e di sicurezza nazionale.
Più che di un ritorno al passato, dunque, l’Italia avrebbe bisogno di un soprassalto di maturità da parte della classe politica che si proietti oltre la parentesi dell’unità nazionale. Detto che il campo largo di Letta nasce già come un’anatra zoppa, questo è un discorso che vale soprattutto per il centrodestra, visto che tutti i sondaggi lo danno vincente alle prossime politiche. L’incomunicabilità tra i leader, le faide siciliane, ma soprattutto le diverse posizioni in politica estera non costituiscono però un buon viatico per una coalizione che avrebbe il dovere di presentarsi agli italiani con una credibile proposta di governo. Fu Berlusconi a inventare il centrodestra e a creare i presupposti per il bipolarismo, e demolirli con un solo colpo di piccone sarebbe un autentico autodafè politico che finirebbe così per dare ragione a Brunetta e consentire di nuovo alla sinistra di restare al governo senza vincere le elezioni.