Il luogo comune che ‘in politica i vuoti si riempiono’ ha un’origine meno banale del suo contenuto: va sotto il nome di horror vacui e ha per babbo Aristotele. In politica sovente i vuoti non si riempiono, si creano a proposito. Accade quando i registi e gli autori sono più capaci degli attori e ne sanno sfruttare le insufficienze.
L’occasione offerta dalla pandemia ha evidenziato le abilità dei primi e lo spessore dei secondi. L’arretramento economico repentino, la ferita alle attività diffuse, lo sconcerto e gli squassamenti sociali, hanno offerto un destro inaspettato. Il desiderio di risposte pronte e provvedimenti efficaci di un popolo già reduce da quasi una generazione di marce indietro, si è spappolato in una montagna di parole, frasi fatte che anziché’ sollecitare sentimenti di rinascita, sembrano finalizzate all’effetto opposto.
Si è aggiunta la contraddizione fra gli annunci e le secche di sussidi e bonus erogati poco, male o per niente. Hanno allargato il vuoto desiderato dai fuoriscena, le forze politiche, attentissime alla dichiarazione giornaliera, allo score nei sondaggi, povere di alternative progettuali, ricche di esternazioni, talvolta imbarazzanti al confronto coi dati di fatto.
Un po’come quel generale iracheno che da Bagdad annunciava al mondo che gli americani erano stati respinti, nel mentre dal video spuntava il cannone di un carrarmato nemico in arrivo. Al vuoto contribuisce la scienza che si è umiliata nelle risse dei virologi in tv, nelle indicazioni e nelle controindicazioni, nella vacuità delle polemiche, incrementando il disorientamento. La burocrazia pervasiva, appiccicosa e incontenibile come il blob dei film di fantascienza anni 50 si rivelata un grande alleato nella creazione del vuoto.
Il quadro si è composto da solo, come un universo dove corpi infinitesimi si agitano in orbite sconnesse, favorendo la coscienza dell’assenza di traiettorie credibili. Va aggiunta la bufera che ha semi azzerato l’affidabilità del sistema giudiziario e gli scandali e le ruberie che investono la chiesa di Roma. Si è prodotta la piazza pulita auspicata e la consapevolezza che neppure le elezioni potrebbero risolvere le conseguenze di questo vuoto assoluto.
Mentre gli attori mostrano i loro sforzi un po’ impudichi di arricchire il tesoretto di consensi neppure di schieramento, ma di parrocchia, i fuoriscena si limitano ad incoraggiare l’ennesimo colpo di teatro di questo percorso verso la tabula rasa.
Gli Stati generali dell’economia e il richiamo dei non partecipanti alle sedi parlamentari, mentre si dichiara che ‘il Parlamento non conta più niente’ sono il miglior espediente per il canovaccio pensato dagli autori. Costoro sornioni fanno trapelare che è inutile votare: ‘Si vedrà’. ‘Qualcosa succederà ’.
Frasi rivelatrici della sicurezza di chi si sente già in sella.
Fra pochi mesi, nel deserto e nell’incertezza, con il ribellismo montante si invocherà il manipolo di oligarchi che da tempo hanno reperito in ogni gruppo i complici adatti alla bisogna. Invocati e ben accetti chiuderanno una storia che iniziò nel 1861 e che bene o male ci ha portato fino ad oggi.
Fare una buona politica sarebbe anche leggere situazioni, prevedere, decidere, porre in essere strategie alternative. Sarebbe, appunto. Sarebbe…